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La buona politica di Luigi Manconi

Adriano Sofri

Manconi ha impiegato il suo seggio per svolgere una impressionante mole di compiti nel campo che ha scelto e delimitato per la propria competenza

Si fa presto a dire diritti umani. C’è un signore che per un lapsus dice “la razza bianca”. Si corregge, volevo dire la società, dice. La società bianca, dunque. Dice anche che se eccetera andremo a Roma coi forconi. Non dev’essere cattivo: è un avvocato, un leghista versione moderata e comunque sbarbata di fresco, il candidato inatteso alla presidenza della Lombardia. Deve aver pensato, e se non pensato sentito, di doversi spingere in territori verbali avventurosi per adeguarsi al suo partito e al ruolo enorme che il suo partito gli ha affidato. Nei giorni scorsi molti esponenti della sinistra fuoruscita dal Pd hanno criticato lo slogan del candidato Pd Giorgio Gori, “Fare meglio”: così, hanno detto, si ammette di fatto che i predecessori, il governo di Maroni, abbiano fatto bene. Forse hanno ragione, si poteva osare di più, ma è vero anche che gli slogan che contengano parole “opposte” – “altro”, “alternativo”, “nuovo” – sono a loro volta abbastanza consumati e ubiqui. Non so, Alternative für Deutschland… Certo, si può fare meglio che una società bianca: una società a colori, per esempio. Suggerirei di accordarsi su uno slogan quasi leninista: “Meglio meglio ma meglio” (N.B.: non è un errore di stampa).

 

Trovate in rete il testo di un appello che auspica la conferma parlamentare del senatore Luigi Manconi, eletto nel Pd e presidente della Commissione straordinaria per i diritti umani. (Anche sul sito del Foglio). Il numero e il prestigio delle firme è notevole e più notevole è la loro varietà. Le firme si raccolgono così, mirando ad autorevolezza e fama: ma se ne aggiungerebbero innumerevoli di altre persone, quelle che gli imbecilli condiscendenti chiamano “i poveracci”, e sono i poveri diavoli, i poveri cristi, che della estenuante fatica di Manconi hanno fatto grata esperienza. Manconi ha impiegato il suo seggio per svolgere una impressionante mole di compiti nel campo che ha scelto e delimitato per la propria competenza. Intanto diventava cieco, uno dei grandi ciechi della nostra vita comune. L’anno scorso ha pubblicato, in conversazione con Christian Raimo, un libro in cui spiega che cos’è stata ed è per lui la politica: Corpo e anima. Se vi viene voglia di fare politica (minimum fax). Mi pare che la sua attività abbia offerto un esempio singolare di autonomia e lealtà. Chi l’abbia seguita è indotto a concludere che nel Pd si può stare anche così. Anch’io penso che il Pd abbia un grande interesse, nel senso migliore, a provare che nel Pd si può continuare a stare così. Ragionerei così, quanto alla incresciosa questione del “posto” in un partito: ci si chieda se e quanto una persona sappia fare buon uso della sua presenza nel partito, e se e quanto un partito sappia fare buon uso della presenza di quella persona. Nel nostro caso, il conto torna per intero.

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