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Quelle foto dei bambini gasati in Siria

Adriano Sofri

In questi giorni, fra i commenti sul punto della pubblicazione o no delle fotografie, qualcuno sostiene che pubblicarle voglia dire mancare di riguardo ai genitori e ai parenti dei bambini

Cara Annalena, che bella pagina avete fatto. Ti ringrazio del tuo partecipe intervento, e anche di aver sollecitato Daniele Raineri a scrivere su guerre e bambini. Non si usa nel giornalismo corrente, ma io non sono giornalista, tanto meno corrente, e vorrei dire che, essendo pochissimo o niente invidioso, in fondo al suo articolo ho sentito, non che mi sarebbe piaciuto averlo scritto io, ma che mi era davvero piaciuto averlo letto io, e l’ho riletto e lo raccomando. In questi giorni, fra i commenti sul punto della pubblicazione o no delle fotografie, qualcuno sostiene che pubblicarle voglia dire mancare di riguardo ai genitori e ai parenti dei bambini. Sono di persone magari molto sensibili ma che non sanno di che cosa parlano. Copio per loro e per tutti il brano pertinente del pezzo di Daniele: “Di recente in Iraq mi hanno portato a una fossa comune, diciotto corpi avvolti nelle coperte (ma diciannove morti perché una donna era incinta, ha detto un anziano della famiglia che era lì) aspettavano stesi vicino a un bulldozer che stava scavando la terra. I parenti avevano deciso per la fossa comune perché non potevano fare tombe singole. Tutti uccisi dalla stessa esplosione, non si sa se dello Stato islamico o degli aerei. Appena i familiari hanno visto le macchine fotografiche, hanno alzato di colpo i lembi di una coperta, c’era una bambina di non più di otto anni, capelli ricci, tutta annerita. Vedi i segni dell’esplosione? Poi quando provi a proporre le immagini ai media rispondono che non mettono foto di morti, figurarsi di bambini uccisi. Però ci sono”.

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