Dimissioni e omissioni

Adriano Sofri

Le questioni di vita o di morte esistono davvero, e su una scala mostruosamente vasta, e coloro che governano la terra vi prendono una responsabilità

L’avevo pensato e scritto molto prima dunque posso ripeterlo ora: affrontare una campagna politica mettendo in palio il proprio personale impegno in politica è una sciocchezza, salvo che si tratti di una questione di vita o di morte. E’ una sciocchezza infantilmente impetuosa che oltretutto si porta dietro la sconfessione pratica, ragionevole, quando corregge l’annuncio del ritorno a vita privata con una semplice dimissione dalla guida del governo, come nel caso di Renzi, meno quando si traduce in una imperterrita permanenza al governo, come nel caso di Boschi, e comunque screditante e difficile da recuperare. Detto questo, che dovrebbe essere ovvio, vorrei dire che le questioni di vita o di morte esistono davvero, e su una scala mostruosamente vasta, e coloro che governano la terra vi prendono una responsabilità direttamente colpevole o colpevole per omissione. E anche quando non siano colpevoli e incontrino tuttavia un fallimento senza riserve, il loro impegno è tragicamente screditato.

 

Vorrei dire che i governanti del mondo, ciascuno per la sua quota, sono direttamente colpevoli degli sterminii di Siria e dell’abominio di Aleppo, o dell’omissione di soccorso, o anche dell’omissione del sacrificio vero di una testimonianza personale di fronte al fallimento senza riserve delle proprie gesticolazioni. Vorrei dire che nessuno di costoro annuncia, e tanto meno traduce in pratica, la propria dimissione e il proprio ritorno a una sua Rignano, né i coautori diretti dello sterminio, che se ne vantano e ingrassano, né gli inerti, che tutt’al più alzano cerimonialmente la voce post factum, né le autorità terze, Onu, Ue, che si convocano e riconvocano teatralmente e si effondono in dichirazioni e interviste dal tono accorato, e non trovano mai in sé la forza, la debolezza, di mettersi a digiunare in una piazza, di presentarsi a una conferenza di Ginevra con un saio bigio, di camminare nude con un cartello al collo nelle intemperie, o semplicemente di andare a casa, sentendo che non si può restare quando i bambini di Aleppo… Quando i bambini di Aleppo.

   
Non bisogna scherzare con le dimissioni, coi gesti importanti, con il mettere in gioco se stessi. E non bisognerebbe credere, senza nemmeno pensarci, per abitudine, per l’ovvietà da cui si è abbigliati dentro e fuori, che restare al proprio insigne posto sia un segno di serietà o di responsabilità. Bisogna guadagnarselo il diritto di pronunciare le parole: “I bambini di Aleppo…”, sia pure tornandosene alla propria Rignano. Facendo, per coraggio, il gran rifiuto. Il rappresentante russo al Consiglio di Sicurezza, Churkin, ha risposto l’altroieri a Samantha Power, che chiedeva se non si vergognassero, ridicolizzandone l’atteggiamento da Madre Teresa, e proclamando che solo Dio potrà riconoscere le colpe per Aleppo. Ecco un uso di Dio che fa il paio con quello dei tagliagola jihadisti. “Bombardate, Dio riconoscerà i suoi”. E’ una gran fortuna per i grandi della terra che Dio non esista.

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