Le colpe della "killer dell'ombrello" e dei media

Adriano Sofri
Oggi avrei potuto congratularmi per la notizia che Carmelo Musumeci, il più noto e tenace degli ergastolani “ostativi”, quelli ai quali, fottendosene della Costituzione, cala addosso una condanna che pretende di essere senza remissione possibile, ha potuto, per la prima volta dopo 25 anni, trascorrere la Pasqua con figli e nipoti.

Oggi avrei potuto congratularmi per la notizia che Carmelo Musumeci, il più noto e tenace degli ergastolani “ostativi”, quelli ai quali, fottendosene della Costituzione, cala addosso una condanna che pretende di essere senza remissione possibile, ha potuto, per la prima volta dopo 25 anni, trascorrere la Pasqua con figli e nipoti. Però oggi leggo anche che una signora romena condannata per omicidio preterintenzionale a 16 anni, avendo scontato positivamente il tempo previsto della legge così da ottenere i primi permessi e la semilibertà, è stata privata di quei “benefici” per aver pubblicato su Facebook sue fotografie al mare, in costume e con un viso sorridente. La notizia sarebbe passabile se si documentasse che nella misura disposta dal giudice fosse ordinato alla “beneficiaria” di non andare al mare (a Venezia), di non comunicare attraverso Facebook, di non indossare un costume da bagno, e di non sorridere mai più, o almeno di non sorridere in fotografia. Aspettiamo dunque di leggere le disposizioni relative del giudice che ha disposto la revoca.

 

Ma prima del giudice erano arrivati i giornali, compresi i più importanti, alcuni dei quali avevano ritenuto di farne a lungo la prima notizia del giorno, con titoli gonfi di indignazione e di scandalo. Il Corriere chiama la signora “la killer dell’ombrello”. Se non fraintendo grossolanamente, “omicidio preterintenzionale” vuol dire che l’orrenda morte della giovane Vanessa Russo di cui la donna fu causa, e per la quale ha ricevuto una condanna pesantissima, non era stata voluta.

 

L’espressione “killer dell’ombrello” evoca compiaciutamente una persona dedita all’uccisione altrui attraverso l’ombrello. Leggo anche che chi ha addosso una colpa come quella della giovane donna dovrebbe tenere un contegno tale da non rinnovare o esacerbare la pena delle vittime. Ne deduco che chi ha addosso una tale colpa debba tenere per sempre e anche nella propria vita privata un contegno compunto e penitente: che, se fosse possibile, e umanamente non lo è nemmeno per il più abile impostore, sarebbe il peggiore oltraggio alle vittime e alla società. Aggiungo, benché sia superfluo, che ho una specie di super-diritto a dire la mia opinione, essendo stato imputato e condannato senza essere colpevole e, non senza, ma contro le prove. Superfluo, perché se fossi stato colpevole e condannato giustamente, ne avrei lo stesso diritto di chiunque altro. Con il privilegio di un’attenzione in più a una società che moltiplica denunce e dossier anonimi e festeggia l’intimità frivolmente violata. Una società che non lo fa nemmeno tanto per la carriera, per vendere di più, per eliminare i rivali e altre magnanime convenienze: lo fa perché le piace, e perché ci ha fatto l’abitudine e non saprebbe più farne a meno. Su un grande giornale, o su un piccolo infame Facebook.

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