Il Berghain chiuso nel marzo 2020 a causa dell'emergenza covid-19 (foto EPA)
Il caso
Boicotta la techno: la folle campagna pro Pal contro il Berghain di Berlino e i suoi "dj sionisti"
Gli attivisti filopalestinesi hanno pubblicato una lista di proscrizione contro i dj che in questi anni hanno continuato a suonare in Israele e che sono di casa nell'esclusivo club berlinese. La deriva d'odio sotto cassa e le emulazioni in Italia
L'ultima frontiera del boicottaggio pro Pal si abbatte su uno dei simboli della musica elettronica mondiale: il Berghain di Berlino. Locale esclusivissimo, con ferrea selezione all'ingresso, tanto da “rimbalzare” nel corso degli ultimi anni da Elon Musk a Diletta Leotta, rigorosamente phone-free, è il punto di riferimento berlinese di chi ascolti techno e oltre. Ha una variegata anneddotica oltre che pubblicistica (Vincenzo Latronico nel saggio “La chiave di Berlino” scrive che a proposito del club “il racconto si è logorato nella reiterazione del mito, finendo per somigliare a quei jingle pubblicitari ripetuti tanto ossessivamente da risultare nauseanti”). E’ citato nel lodatissimo nuovo disco di Rosalía. Ed esistono pure delle "guide" per cercare di assicurarsi l'accesso. Fatto sta che adesso i gruppi pro Pal, che avevano promosso richieste simili dopo il 7 ottobre, hanno alzato l'asticella e sono tornati ad abbattersi contro il Berghain rivendicando il boicottaggio con una serie di “giustificazioni” inedite.
L'associazione “Ravers for Palestine”, infatti, ha pubblicato del materiale per spiegare quanto il club abbia provveduto “palese e materiale supporto a Israele per molti anni”. Intimando i dj che “se suoni al Berghain sei complice” di genocidio. Tra le ragioni addotte c'è che 25 dei 32 dj più attivi al Berghain “hanno suonato in Israele, sette di questi vi hanno suonato più volte. E tredici dal 2023 in poi”. Nel mirino sono finiti, tra gli altri, Roi Perez, Âme, Boris, Ben Klock, Rødhåd e Marcell Dettman, alcuni degli artisti di musica elettronica più importanti al mondo. Ma anche la serie di eventi curati dall'etichetta discografica del locale, “Ostgut Ton”, che dal 2013 ha più volte scelto Tel Aviv come città per lanciare i propri tour mondiali.
Nel 2018 alcuni locali della città israeliana furono vittime di una campagna di boicottaggio internazionale nei confronti di Israele. E proprio la scelta del Berghain di non aderirvi ha permesso alla nightlife di Tel Aviv di approvvigionarsi di dj di fama mondiale. Tutto fa buon brodo affinché il locale venga adesso considerato dai pro Pal una “istituzione sionista”.
In realtà dopo il 7 ottobre la reazione pubblica del Berghain era stata l'ostensione ecumenica di bandiere della pace, ma ai collettivi pro Pal era sembrata da subito una risposta troppo tiepida. Era stato il duo israeliano di musica elettronica Red Axes, ospiti più volte al Berghain, a descrivere il clima di sospetto e accuse di cui sono vittime gli artisti ebrei dopo il 7 ottobre, obbligati a prendere una posizione contro il loro paese pur di poter continuare a suonare in giro per il mondo. In assoluta contraddizione, peraltro, con il massacro del Supernova Festival, dove il 7 ottobre 2023 vennero uccisi da Hamas oltre 360 avventori al rave.
Anche in Italia c'è stato un tentativo di boicottaggio, nei confronti del Cieloterra, a Roma, solo perché gli organizzatori avevano invitato la radio tedesca Hör, complice, a dire delle associazioni filopalestinesi, di essere troppo vicina alla causa di Israele.
Il caso Berghain, insomma, insegna che per i pro Pal, nel 2025, basta aver fatto suonare un artista ebreo o che ha visitato Israele per essere tacciati di “complicità col genocidio”. Anche se la risposta maggiore a questa deriva, forse, continuano a essere le file chilometriche nel quartiere di Kreuzberg. Incuranti dell'ultimo appello che rinfocola la caccia all'ebreo, anche sotto cassa.
"Le città di Pianura"