Tra la via Emilia e il Midwest. Clementi e Nuccini danno voce all'America sospesa di Sam Shepard

Enrico Cicchetti

"Mothel Cronicles" mette in musica l'omonimo libro del narratore e sceneggiatore dell'Illinois. “Forse è perché gli americani leggono la Bibbia: riescono trasportare nel mito anche una pompa di benzina nel mezzo del nulla”. Intervista a Emidio Clementi

Le luci, imburrate dalla macchina del fumo, sbattono sui cappelli. Le facce scompaiono e restano solo le montature degli occhiali, il cuoio di scarpe e cinture. Poi arriva la musica. Poi le parole. Quelle che, senza cercarlo davvero, trovano il senso profondo delle cose in una ragazzina che rincorre un pezzo di cellophane in uno spiazzo deserto. O nel mistero di un uccello morto nel parcheggio di un supermercato. Stanze di velluto e disinfettante. Dinosauri di gesso, con piccole luci blu al posto degli occhi. Le ha scritte in Motel Chronicles” Sam Shepard, Pulitzer per il teatro nel 1979.

 

In un album che ha lo stesso titolo, Emidio Clementi (Massimo Volume) e Corrado Nuccini (Giardini di Mirò) riportano a nuova vita quelle allucinazioni di praterie e highways, quei frammenti di una terra selvaggia e arcaica. Dalla via Emilia – luogo d'adozione o di nascita dei due musicisti – al Midwest.

 

  

Il disco, ricco di ospiti, completa una trilogia iniziata con “Notturno Americano”, in cui Clementi e Nuccini ripercorrevano l’America urbana di inizio secolo di Emanuel Carnevali, e proseguita con i  “Quattro Quartetti” di T. S. Eliot. Tre narratori per i quali quello che c'è da dire è tutto intorno a te, scrittori capaci di mostrare come anche l’infinitamente semplice della più squallida quotidianità abbia un'epica. “Forse è perché gli americani leggono la Bibbia: riescono trasportare nel mito anche una pompa di benzina nel mezzo del nulla”, spiega Clementi. “Questi tre dischi raccontano un'America ‘di mezzo ma laterale’. Carnevali perché era italiano, Eliot perché si 'spacciava' per inglese, Shepard per quella sensibilità che piace agli europei, come è piaciuta a Wim Wenders, col quale ha scritto la sceneggiatura di 'Don't Come Knocking' e ‘Paris, Texas’. La sua America è fatta di covoni di paglia, Plymouth e trattori: un'immagine un po' frusta, da svecchiare”. Come? “Ricollocandola nella nostra realtà di tutti i giorni, da osservare con lo sguardo curioso di Shepard. In fondo lui raccontava le sue Casalecchio di Reno”, ci spiega “Mimì” Clementi. “un po’ come nel cinema ha fatto Jean-Pierre Melville, genio del noir e del polar che cercava l’America nei paesaggi francesi”, dice. E così lui e Nuccini, in una foto che gira insieme al comunicato stampa, sembrano due vecchi cowboy fuori da un rodeo, in un pomeriggio d’inverno che gonfia le banfiere a stelle e strisce. “E invece è un luna park di  Bologna, su via Stalingrado”, ride.

  

Lo incontriamo al Monk di Roma. E' sbarbato e sa di fresco anche dopo il concerto. Del resto il suo non è mai stato un rock sudato. Ammesso che si possa appiccicare l'etichetta di rock anche a questo album di archi e fiati e spoken word, che unisce alle chitarre di Nuccini le suite orchestrali e i sintetizzatori analogici. Su quel fondale polveroso, in un flusso di umanità stropicciate, catrame bollente e asfalto, galleggia la voce densa e ipnotica di Clementi. “Anche con la musica abbiamo cercato di creare un ponte tra Stati Uniti ed Europa”, dice. Così nel disco la tradizione nordamericana si fonde con il sound di Bristol anni ’90 e con le anime chicane della Baja California. Malinconie di frontiera.

  

 

“Sono come un thailandese che canta Verdi”, scherza Clementi, che forse si sente un po' Salgari, un viaggiatore di carta. “Descrivo un paesaggio che non ho mai visto di persona. Sono stato nelle nevrotiche metropoli degli Stati Uniti, ma mai nello spazio sterminato del Midwest, che per me resta esotico ed estraneo. Un luogo con uno squallore che qui non conosciamo, dove ci si può staccare del tutto dalla società”. 

 
“Prima di fare questo disco - aggiunge - con Corrado cercavamo un autore italiano. Per un po’ ho pensato a Roberto Roversi, poeta e paroliere di Lucio Dalla. Ma in quei testi non c'ero io dentro. Eppure abbiamo addirittura amici comuni, lui ha raccontato un mondo che conosco bene, una città, Bologna, nella quale vivo da anni. Però, forse perché ancorato all’attualità e alla politica di altri anni, lo sento più distante di uno dal quale mi divide un oceano intero. Così alla fine ho  scelto un autore lontano che però racconta di me”.

 
Quelli di Shepard sono racconti dal finale insieme definitivo e sospeso, che serve qualche minuto a digerire. Con questo disco Clementi e Nuccini danno voce e corpo alla sospensione. E accendono gli occhi - piccoli e blu - dei dinosauri.

  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti