Dente, foto  Irene Trancossi

L'intervista

Il nuovo album di Dente, pioniere indie: un Amarcord con qualche nuvola

Enrico Cicchetti

Dal 7 aprile esce "Hotel Souvenir". Nel suo ottavo disco l'artista di Fidenza si guarda indietro e dentro, per fare i conti con se stesso. Di solitudine e serenità. E di come diventare grandi mantenendo uno sguardo bambino sulle cose

"Il mio Hotel Souvenir è un luogo della mente in cui albergano i ricordi”, dice Dente, al secolo Giuseppe Peveri, uno dei pionieri dell’itpop. E non si può non pensare al Grand Hotel di Fellini: in fondo anche questo suo nuovo e ottavo disco, in uscita venerdì per INRI/Virgin Music Las, è un bell’Amarcord. Un guardarsi indietro per guardarsi dentro. Un contarsi sul pallottoliere degli anni e pesare “i grandi numeri delle piccole cose” che ci hanno resi quel che siamo. Non a caso l’album inizia con Dieci anni fa, fa perno su La vita fino a qui e chiude con Un viaggio nel tempo, lettera al se stesso ragazzino (Il duemila non è poi così lontano come credi / Per me è passato da un bel po’). “Anche la prima canzone del disco – racconta Dente – è un dialogo con il passato, perché l’ho scritta davvero dieci anni fa. Ho ritrovato cose uguali e aggiunto un tassello nuovo. Come nell’illustrazione di Andrea Ucini in copertina: due persone che poi sono la stessa si osservano da due piani diversi e paralleli, forse due piani del tempo”.

Sul violino di La vita fino a qui, graffiato dalla voce di Carlo Corbellini dei Post Nebbia, si direbbe ruotare il senso del nuovo lavoro. “Quel brano riassume vent’anni di vita, da quando sono fuggito dalla nebbia di Fidenza per nascondermi in quella di Milano”, ride. “E’ un tentativo di capire quanto è cambiato e quanto è rimasto,come quelle cose fastidiose che non riesco a estirpare”. Un tentativo onesto di fare i conti con se stessi, per capire ciò che non va e riscoprire “la stessa solitudine / Le stesse nuvole / Che non si muovono mai”. “Ho vissuto un periodo molto giù, giornate infinite e immobili come incubi, sul divano ad aspettare la sera per potere dormire. Poi a volte basta girarsi per prendere il volo. La musica è sempre stata una valvola di sfogo. Ma la usavo per raccontare la mia vita: questa volta ho provato a raccontare come sono dentro. Tendiamo a nasconderci delle cose, a metterle in cantina. Però così non scompaiono: come i mostri nei film dell’orrore restano lì acquattate e pronte a saltare fuori appena apriamo la porta”.

   

    

Sono passati tre anni dal precedente album e oggi tre anni sono un’eternità, soprattutto se campi di musica. “Ma penso sia il periodo giusto per creare qualità. Non è una sciocchezza scrivere canzoni, se vuoi farlo a modo”. Il giornalista pigro definirà Hotel Souvenir il disco della maturità. “E’ una cosa bella da sentirsi dire, perché significa che è diverso dai precedenti e perché questo è un album denso: avevo una trentina di canzoni, ma ne ho scelte dieci per ottenere un disco senza riempitivi”. E poi ci sono gli ospiti, dai Post Nebbia ai Selton, con cui anni fa era stato in tour in Brasile, e in un’unica traccia – Il mondo con gli occhi – Fulminacci, Giorgio Poi, Colapesce e Dimartino, VV, Ditonellapiaga, in una sarcastica risposta all’orgia di featuring del mondo trap. Una wunderkammer che mette in mostra un po’ del meglio di quell’indie italiano che da modalità di produzione è ormai diventato la definizione di un genere musicale. Genere di cui Dente è un capostipite. “Quando ero ragazzino, ascoltare musica italiana era da reietti. Oggi è il contrario”, dice. “Però il pubblico dei concerti ora cerca l’evento. Manca un po’ quel mondo nel quale sono nato musicalmente, fatto di posticini minuscoli dove si suona e si parla, si ride e si piange”. La pandemia ha dato un bel colpo a molte piccole realtà. “E’ come se non esistesse più l’underground e si fosse creato un unico campionato: tutti gli artisti sono gestiti nello stesso modo, Sanremo, le radio... Pare che tutti si vogliano arrampicare su un albero con un unico fiore in cima. Invece gli alberi hanno tanti rami, tanti fiori e anche tante radici. Non serve per forza riempire i palasport, il nostro scopo è esprimerci. Quando un artista che è nato in un localino arriva al palazzetto è bellissimo ma se non c’è più nessun localino si asfaltano le possibilità”.

  

In Il mondo con gli occhi fai un po’ un manifesto di quella tua parte ironica e bambinesca, quella delle favole e dei sogni a occhi aperti. “Mi piace molto tenere vivo il mio lato fanciullesco, il gioco, l’incoscienza, la stupidaggine. Lo soffochiamo diventando grandi ma per rimanere felici è molto utile farlo esprimere. Un bambino che ride è la felicità pura, una materia incontaminata”. Oggi sei più felice? “Sì, ho capito molte cose, sono più sereno, anche se ci sono sempre quelle nuvole che non si muovono mai”.

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  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti