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il suono delle radici

I diritti del rock. Così John Fogerty si è ripreso le sue canzoni

Nicola Contarini

Mentre altri dinosauri come Dylan e Springsteen vendono i loro cataloghi, lo storico leader dei Creedence Clearwater Revival se ne riappropria dopo decenni. Come aveva perso la sua musica, è una triste storia. Ma con un lieto fine

Bob Dylan il suo catalogo lo ha venduto per duecento milioni di dollari l’anno scorso, Bruce Springsteen per cinquecento. Neil Young ne ha dato via metà per 150 milioni. E non ci sono solo i dinosauri del rock: è di un mese fa la notizia che Justin Bieber, popstar non ancora trentenne, ha ceduto i diritti della sua musica al fondo Hipgnosis per duecento milioni. Mentre loro vendono, ce n’è uno che va controcorrente e si riprende le sue canzoni: è John Fogerty. Settantasette anni, di Berkeley in California, è anche lui uno dei grandi del rock americano, e ha da poco concluso una battaglia decennale per tornare in possesso dei diritti della sua musica.

Forse il suo nome e la sua faccia non sono altrettanto conosciuti dalle nostre parti, ma anche di qua dall’oceano è impossibile non aver mai sentito una sua canzone. Non fosse altro perché quel sound è immediatamente evocativo della guerra in Vietnam, da quando Forrest Gump è arrivato al fronte sulle note di “Fortunate Son”, nel film di Robert Zemeckis con Tom Hanks. Da quel momento la musica di Fogerty è stata usata in innumerevoli pellicole che hanno raccontato quel conflitto drammatico. Un’applicazione che non è dispiaciuta al rocker – che in quegli anni fu anche arruolato – al contrario di diverse altre, come quella negli spot dei blue jeans. Capita, quando non sei tu ad avere il controllo dei diritti della musica, ma qualcun altro che ha come unico criterio il profitto.

Ma perché un giovane rocker, all’inizio degli anni 70, abbia ceduto le proprie canzoni alla casa discografica, questa è la storia che vede contrapposto John Fogerty alla Fantasy Records e al suo proprietario Saul Zaentz, uno di quelli che Frank Zappa avrebbe descritto come “sigar-chomping old guy”, un vecchio manager con il sigaro. Uno di quelli che hanno sicuramente fatto un gran bene al business, se si ascolta la musica clamorosa uscita in quegli anni, ma che non guardavano in faccia a nessuno. E se le dispute legali e giudiziarie fra musicisti e case discografiche sono sempre sgradevoli, qui la nota drammatica è data dalla faida che si è intrecciata alle udienze in tribunale: la faida tra i fratelli Tom e John Fogerty.

Forrest Gump arriva in Vietnam sulle note di “Fortunate Son”. Un uso della canzone che non è dispiaciuto a Fogerty, al contrario di altri

Ma partiamo dall’inizio: dal momento in cui il maggiore dei due, Tom, mette su una band. Subito coinvolge il fratellino e due suoi compagni di scuola, Stu Cook e Doug Clifford: si occuperanno di basso e batteria, i Fogerty sono alle chitarre e cantano. Nei Blue Velvets è Tom a fare da traino, poi cambiano nome in Golliwogs e il talento di John sboccia. E’ il 1967 quando nascono definitivamente i Creedence Clearwater Revival, tra le band americane di maggior successo commerciale di sempre, e in gara per il podio dei nomi più impronunciabili. A quel punto John scrive tutte le canzoni del gruppo, è unica voce e suona tutte le parti di chitarra solista.
In una manciata di anni – veramente pochi: dal ’68 al ’72 – i Ccr pubblicano sette album in studio, cinque dei quali finiscono in top ten, e due di questi al primo posto. Per tacere della marea di singoli in classifica. Nel ’69 partecipano al Festival di Woodstock, ma sono diversi dai figli dei fiori che si danno a sperimentazioni psichedeliche: i quattro vestono camicie di flanella a quadri da campagnoli e suonano un rock radicale. Nel senso che va dritto alle radici, al delta del Mississippi, negli Stati Uniti del sud dove i neri strimpellano il blues e i bianchi il country. I Creedence sono quattro californiani che suonano come tali: il loro cuore batte per le paludi della Louisiana, dove gracida la rana toro e il pesce gatto morde i piedi a mollo. Così canta Fogerty nella canzone manifesto “Green River”.

Ma qual è la chiave di tanto successo? Ci sono senza dubbio gli ingredienti fondamentali del talento di John Fogerty: una potentissima voce roca capace di dare lustro a vecchi brani rhythm n’ blues come “I Put a Spell on You”, e un’abilità con la chitarra che al tempo poteva essere messa in ombra dai funambolismi di Jimi Hendrix, ma che negli anni rivelerà un’influenza fondamentale sul revival rock a seguire. Però gli ingredienti devono amalgamarsi secondo una ricetta: e questa è senza dubbio l’immensa abilità di Fogerty come scrittore di canzoni.

Come uno dei suoi singoli di maggior successo, “Bad Moon Rising”: poco più di due minuti di canzone, tre accordi maggiori ripetuti nella strofa che cambiano semplicemente sequenza nel ritornello, un ritmo country saltellante, una melodia scanzonata. Sì, ma il testo parla di morte e distruzione: “Sento che arriva un uragano / So che la fine è vicina / Temo la piena del fiume / Sento la voce della rabbia e della rovina”. Il ritratto secco di quei disgraziati che a New Orleans e dintorni si trovano periodicamente la casa scoperchiata dal vento e le strade allagate dall’acqua fangosa. La dicotomia tra musica e parole trasforma una canzonetta in un classico. Per accorgersi della genialità del brano si può andare a sentire la versione che ne ha dato David Eugene Edwards, uno che ha fatto della ricerca sulla tradizione folk americana una ragione di vita, specialmente nei suoi aspetti più cupi e inquietanti. Con la sua band 16 Horsepower, così suona “Bad Moon Rising” nel ’97: in tonalità minore, straniante e sgangherata, finalmente la musica restituisce una qualche coerenza con il testo. Ma perde tutto il naturale umorismo che rendeva irresistibile l’originale. Così Bruce Springsteen ha descritto il collega come autore di canzoni: “Solo pochi possono fare tanto in tre minuti come John Fogerty. Era un profeta del Vecchio Testamento, con i capelli arruffati, un fatalista. Anche divertente. Era severo e preciso”.

Nel ’67 nascono i Creedence Clearwater Revival. Cantano le paludi della Louisiana, arrivano a Woodstock e in cima alle classifiche

Per ciascuna delle canzoni dei Creedence Clearwater Revival si può trovare almeno un particolare che la rende speciale, e infatti il successo della band è enorme. Ma ricordate com’è iniziata l’avventura del gruppo: con un fratello minore che prende il controllo creativo del gruppo messo su dal maggiore. Il quale viene relegato sempre di più al ruolo di dignitosissimo comprimario. Ogni tentativo di Tom di guadagnare spazio viene ostacolato: John è un perfezionista, forse anche un po’ maniaco del controllo, e i numeri delle vendite gli danno ragione, la sua è la ricetta vincente. Eppure Tom non si accontenta: dio solo sa cosa può covare un fratello rivale dell’altro.

Dopo “Pendulum” del ’70 – il disco della celebre “Have You Ever Seen the Rain?” – Tom lascia la band per perseguire la carriera solista. A questo punto emerge, come tratto del carattere di John Fogerty, un orgoglio che scatena la ripicca nei confronti dei restanti Stu Cook e Doug Clifford. Benissimo, gli dice, anche voi come mio fratello volete più spazio nel gruppo? Scrivetevi e cantatevi le vostre canzoni, io mi limiterò a suonare la chitarra, per il resto non voglio averci nulla a che fare. Le versioni sulla reazione dei due musicisti sono discordanti: Fogerty nella sua autobiografia sostiene che accettarono entusiasti, Clifford in un’intervista dice che non era questo l’accordo che volevano. Si capisce perché i racconti sulla genesi dell’ultimo disco siano in contrasto: il risultato è disastroso. “Mardi Gras” esce nel ’72, con i crediti per scrittura e parti vocali equamente suddivisi, e sebbene riceva un buon riscontro commerciale la critica lo stronca. Arrivati ai ferri corti, i Creedence si sciolgono alla fine del tour seguente. Non suoneranno mai più insieme in pubblico.

Qui scatta la trappola in cui le circostanze, e in parte l’orgoglio, incastrano John Fogerty. Il contratto che ha firmato con la casa discografica, la Fantasy Records di Saul Zaentz, non si scioglie infatti così facilmente: a quanto pare, John gli deve ancora ben otto dischi. Contratto capestro? Può darsi, ma ciascuno è responsabile delle carte che firma. Ed è facile immaginare che un rocker ventenne e talentuoso possa non essere il più abile manager di se stesso. Insomma, per liberarsi dagli oneri, John cede alla Fantasy l’unica cosa che ha: i diritti delle canzoni dei Creedence Clearwater Revival, che passano così nelle mani di Zaentz.

Giudicare il produttore per aver fatto firmare a dei ragazzi un contratto molto vantaggioso per sé e poco per loro non ha senso. Sono cose che capitano in continuazione nel business. Ma l’uso che a un certo punto ha fatto dei diritti delle canzoni, quello è scorretto, e lo ha decretato un tribunale. Nel 1984 John Fogerty, dopo anni di amarezza e un paio di album solisti di scarso successo, se ne esce in grande spolvero con “Centerfield” e si piazza in classifica con il singolo “The Old Man Down the Road”. Ebbene, Zaentz lo denuncia perché il brano suonerebbe molto simile a una vecchia canzone dei Creedence, “Run Through the Jungle”, scritta da Fogerty, di cui il produttore detiene appunto i diritti. Insomma, il musicista si trova a doversi difendere dall’accusa di auto-plagio. La cosa ovviamente non sta in piedi e John vince la causa, un episodio che mostra quanto fossero a fuoco le altre canzoni dell’album: “Mr Greed” (il signor Avidità) e “Zanz Kant Danz”, che parla di “un maiale che vuole rubare i tuoi soldi”. A onor del vero, sempre il tribunale obbligò Fogerty a ri-registrare quest’ultima canzone e cambiare il personaggio “Zanz” in “Vanz”.

La faida con il fratello Tom fa scoppiare il gruppo e cedere i diritti delle canzoni sembra l’unico modo per svincolarsi dal contratto

Se infinocchiare i giovani musicisti non è reato, quello di fargli causa accusandoli di plagio è un vizio vecchio quanto l’industria musicale, e le statistiche mostrano come si tratti di inutili perdite di tempo e denaro, buone solo a togliere il sonno agli artisti. Tanto più in un genere come il rock, che prospera sulle citazioni e la riproduzione implicita di schemi e strutture ereditate dal gigantesco calderone della musica popolare americana. Per spezzare una lancia a favore di Zaentz, si può dire che la montagna di soldi fatta con le canzoni dei Creedence è stata ben investita per produrre film come “Amadeus” e “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, di Milos Forman, e “Il paziente inglese” di Anthony Minghella. Tutti premiati con l’Oscar al miglior film. La quarta statuetta, Zaentz la ottiene nel ’97, quella alla memoria Irving G. Thalberg, assegnata a “produttori creativi, i cui lavori riflettono delle continue produzioni cinematografiche di alto livello”.

In aggiunta, si può citare un apologo di Frank Zappa, che in un’intervista reperibile su YouTube spiega: “Negli anni 60 è capitato che alcuni dischi incredibilmente sperimentali siano stati registrati e distribuiti. Guardate a chi erano i dirigenti di quell’industria: non giovanotti hippie, ma vecchi signori con il sigaro che ascoltando il prodotto dicevano ‘non so cosa sia questa roba, facciamola uscire e se vende, bene così’”. Per Zappa insomma quei dirigenti garantivano una libertà creativa poi venuta meno: “A un certo punto hanno assunto qualche hippie capellone, all’inizio gli hanno fatto portare i caffè, poi li hanno messi in posizioni di comando. E loro hanno iniziato a dire ‘sappiamo noi cosa piace ai giovani, decidiamo noi cosa far uscire’”.

E Tom Fogerty? Purtroppo anche il suo percorso dopo i Creedence – una carriera solista pressoché inesistente – è la prova di quanto il fratello minore fosse il motore creativo del gruppo. I due non si sono mai riconciliati: la pietra sopra è arrivata quando Tom ha parlato di Saul Zaentz come del suo “migliore amico”. La morte lo ha raggiunto nel ’90, a causa dell’Aids contratto in una trasfusione di sangue andata male. Al funerale John dice: “Volevamo crescere e diventare musicisti, ci siamo riusciti a metà: siamo diventati delle rockstar, ma non siamo cresciuti”. Se credevate che la coppia di fratelli più disfunzionale della storia del rock fosse quella di Liam e Noel Gallagher – che dopo la separazione dei loro Oasis se ne sono dette di ogni – avete materiale per ricredervi.

L’ispirazione ritrovata presso le tombe di mitici bluesman degli anni 30 come Robert Johnson e Charlie Patton, per cui finanzia le lapidi

Per anni la ripicca di John Fogerty si è concretizzata anche nel rifiuto di suonare canzoni dei Creedence dal vivo. Pagare le royalties alla Fantasy Records per eseguire i suoi stessi brani lo feriva troppo. Il ripensamento arriva negli anni 90 con un viaggio lungo il Mississippi, negli stati la cui tradizione musicale lo aveva ispirato. Lì scopre le tombe di mitici bluesman degli anni 30 come Robert Johnson e Charlie Patton, neglette e dimenticate. Attraverso il Mt. Zion Memorial Fund, finanzia le lapidi dei padri dell’avventura musicale sua e di molti altri, e decide di tornare a suonare le vecchie canzoni accanto alle nuove. Non che per queste gli manchi l’ispirazione: “Blue Moon Swamp” del ’97 vince il Grammy come miglior disco rock.

Da quel momento il rancore sembra essere passato in secondo piano nella vita di John, ma le canzoni gli sono state restituite solo il mese scorso: merito della Concord, la casa discografica che ha comprato la decaduta Fantasy e che ha permesso al rocker di riacquisire la quota di maggioranza dei diritti. A Billboard, Fogerty ha detto di essere il padre di quelle canzoni. Ebbene, dall’album maledetto “Mardi Gras” torna alla memoria uno dei brani forse meno frequentati della sua discografia, “Someday Never Comes”: “Il tempo e le lacrime passavano e io raccoglievo la polvere / perché c’erano molte cose che non sapevo. / Quando papà se ne andò, disse ‘sii uomo / e un giorno capirai’. / Sono qui per dirlo al figlio di ciascuna madre / sarà meglio che impari in fretta e da giovane / perché ‘un giorno’ non arriva mai”. Forse è vero, non è mai possibile comprendere il dolore fino in fondo, ma non significa che non si possa continuare a sperare in un lieto fine. Come quello che ha fatto ritrovare a delle canzoni sperdute il loro padre.

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