Jordi Savall (Ansa)

In cerca della bellezza perduta

Jordi Savall e il suono sempre nuovo dell'antico

Stefano Picciano

Il violista e direttore d'orchestra offre un viaggio nel tempo capace di rivolgersi a tutti: una continua esplorazione nei tesori della musica passata, per restituire le sonorità originali

Non ci ho pensato due volte, e appena l’ho visto uscire mi sono avvicinato per parlargli. Un breve incontro, poche parole sul concerto appena ascoltato, una grande cordialità da parte sua e, soprattutto, l’evidenza di un fattore semplice ma capace di unificare tutto: l’amore per la bellezza. Per quella bellezza nascosta e al contempo custodita nei secoli che ci precedono, quella bellezza che il passato può elargirci a piene mani se solo siamo disposti a osservarlo. Lui vi ha dedicato la vita, recuperando un inestimabile patrimonio di musiche altrimenti dimenticate, nell’intento di restituirle al presente. Jordi Savall è una figura fondamentale del panorama musicale del nostro tempo, un esploratore del passato, un cercatore instancabile dei tesori che la storia della musica custodisce. Quello che Savall da tanti anni ci propone è un viaggio nel tempo non destinato a una minoranza di appassionati, bensì capace di rivolgersi a tutti: in un tempo in cui la musica è superficialmente assimilata allo spettacolo, all’intrattenimento, allo svago, i grandi maestri come lui ci portano a scoprire come essa sia invece capace di parlare all’uomo dell’uomo, riportando per così dire l’uomo a sé stesso. 

 

La storia di Jordi Savall inizia con l’immagine di un ragazzo che canta nel coro della città natale, in Catalogna, e una sera si trova in una chiesa ad ascoltare l’abbacinante bellezza del Requiem di Mozart. Una sorta di folgorazione, cui segue la decisione di studiare violoncello e, dopo aver messo da parte alcuni risparmi, un viaggio effettuato di nascosto nella vicina Barcellona con l’obiettivo di acquistare uno strumento. Dal violoncello avviene, su provocazione di un maestro, il passaggio alla viola da gamba, strumento appartenente ai secoli XVI e XVII, caratterizzato da un suono dolce e malinconico, capace come pochi altri di riportarci ad atmosfere musicali poi perdute, con l’avvento delle più brillanti tonalità del classicismo, nelle profondità della storia. Completando gli studi presso la Schola Cantorum di Basilea, dove avrebbe ereditato la cattedra del suo maestro, Savall consolida la sua attività di ricercatore, concertista, insegnante, divenendo per tanti un decisivo punto di riferimento. 

 

La carriera del maestro catalano è una continua esplorazione nei tesori della musica antica (o meglio, dei manoscritti antichi perché, come ama sottolineare lui stesso, la musica è sempre nel presente) sia come violista sia come direttore, all’interno di un repertorio vastissimo che lo conduce – dai manoscritti medioevali agli splendori del Rinascimento, dal vasto patrimonio barocco a percorsi di ricerca nelle tradizioni popolari, fino alle rarità celtiche, armene, sefardite – verso avventurosi recuperi di musiche altrimenti lasciate nell’oscurità, nell’indifferenza, nell’oblio: un lavoro da filologo, immerso nella incantevole fatica di chi sa quanti luoghi (biblioteche, monasteri, archivi) custodiscono un’eredità inimmaginata di partiture mute da secoli che possono tornare, dopo secoli, a risuonare, in un suggestivo recupero della memoria. Ciò avviene non solo attraverso le opere scritte, ma anche nell’attenzione alla tradizione orale, dove un posto rilevante è affidato all’improvvisazione tipica delle espressioni musicali più spontanee. 

 

Quando invece si dedica alle opere dei compositori più noti, Savall lo fa manifestando un’attenzione al rigore filologico teso a restituirci – proprio come in un viaggio nel tempo – le sonorità originali. In compagnia del maestro siamo condotti nella vertigine della geografia (il Mediterraneo e oltre) e della storia (dall’antichità al Romanticismo), in una visione organica della cultura riproposta attraverso la musica, che lui definisce “il linguaggio umano più universale, che non ha bisogno di traduzione perché parla sempre al cuore dell’uomo”. Si direbbe che nel lavoro di Savall la musica divenga un mezzo per comprendere non solo l’espressione musicale stessa di una determinata epoca bensì, più ampiamente, la sua sensibilità, il suo pensiero: in una parola, l’uomo. Le incisioni – più di duecento – i concerti, i progetti culturali di cui Savall è promotore non si contano. Abituato a mettere in discussione ciò che appare assodato, a ritornare alle fonti nell’intento di “lasciar parlare la musica”, a individuare le condizioni per riprodurre la sonorità più vicina possibile a quella che l’autore ha pensato, Savall appare a noi come un cercatore della bellezza. Un po’ come Odisseo durante il suo viaggio nel Mediterraneo, egli si sposta da un ambito all’altro della cultura con un ardente desiderio di conoscenza, una tensione a cogliere i fondamenti di ciascuna espressione musicale per restituircela, attraverso i secoli, intatta. E, come in Omero, scopriamo che la meta del viaggio non è appena un determinato luogo o una certa cultura, ma la possibilità che l’uomo ha di solcare il mare per comprendere la propria storia, le proprie radici. Per ritrovare, guardando al passato, sé stesso. 

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