I Radiofiera (foto di Raffaella Vismara, via Wikimedia Commons)

musica

Trent'anni di Radiofiera

Marco Ballestracci

La band di Treviso festeggia tre decenni di musica. "Veniamo da un posto reale, che allo stesso tempo può diventare immaginario. E’ certamente Veneto, ma può essere, se si guarda meglio, persino un pezzetto d’America". Intervista al cantante Ricky Bizzarro

In questi giorni Treviso è musicalmente in festa. I Radiofiera festeggiano trent’anni di attività. Trent’anni su un palco a suonare rock’n’roll. Per un bel po’ di gente, soprattutto per chi abita intorno a Treviso, hanno rappresentato qualcosa di importante. Più o meno quello che hanno significato per i newyorkesi il primo Bruce Springsteen, giusto prima che diventasse un fenomeno interplanetario, oppure, meglio, musicisti come Mink De Ville o Garland Jeffreys, le cui ispirazioni sono sempre state identificate con dei precisi quartieri di New York.

 

  

Cosa significhi questo “qualcosa di importante” è difficile da spiegare: probabilmente, grazie ai testi delle canzoni, si tratta solo della consapevolezza che certe emozioni che paiono essere singolari sono in realtà condivise. Che poi è sempre stata la magia del rock’n’roll: da Elvis Presley a Memphis, a Willy De Ville ad Alphabet City, ai Radiofiera, appunto a Treviso. E’ Ricky Bizzarro, con Bepi Fedato ininterrottamente da trent’anni nella band, che sceneggia il luogo: “Fiera è un quartiere molto particolare di Treviso. E’ un quartiere operaio. E’ pieno di gente che ha imparato a divertirsi con quello che aveva a disposizione. E ciò che si ha a disposizione alle volte ti porta a immaginare. Quando a Fiera vengono montate le giostre per le Fiere di San Luca mi viene talvolta da pensare di essere sul set di 'Fronte del Porto' oppure al luna park di Coney Island. Perciò questo è un luogo perfetto: è reale, ma allo stesso tempo può diventare immaginario. E’ certamente Veneto, ma può essere, se si guarda meglio, persino un pezzetto d’America. E’ il posto giusto per scrivere canzoni”.

 

Tuttavia grazie alla musica e alle canzoni si può immaginare di essere dove si preferisce, ma questa è profondamente Italia, perciò la domanda dell’appassionato è naturale e, al contempo, pressappoco un’invocazione: “Ma con tutte le ciofeche che si ascoltano in radio e passano in televisione, come accidenti avete fatto a non essere conosciuti dalle Alpi alle Piramidi?”. 

   

  

Bizzarro si aggiusta il berretto e sorride: “Credo che dipenda dal fatto che siamo pigri. O forse, fondamentalmente, preferiamo essere riconosciuti come degli eroi nel nostro Mondo Piccolo, piuttosto che essere delle comparse nel mare più grande. Se ci allontaniamo troppo dalle nostre radici perdiamo un poco l’orientamento e allora bisogna che ci aggrappiamo ai nostri luoghi. La scelta di scrivere i testi in dialetto scaturisce da questo. E’ da bambini che parliamo dialetto e siamo cresciuti parlandolo, perciò scrivo così. Ma non significa che il nostro orizzonte sia ristretto. Se mi chiedi quali sono le mie principali influenze, senza alcun dubbio ti rispondo Bob Dylan e Lou Reed. Perché, come ti dicevo, il posto dove ci troviamo è senza dubbio Veneto, ma alle volte può essere anche un bel pezzetto d’America, o qualsiasi luogo dove i cacciatori di canzoni riempiono le bisacce. Che, detto tra noi, è più o meno una citazione della “Ballata di Buster Scruggs” dei Fratelli Coen. Anche loro, di tanto in tanto, passano di qui e, come tutti in quartiere, parlano in dialetto”.

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