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Qualità melodica e testi alti: l'ultimo disco di Niccolò Fabi è più di un greatest hits

Stefano Pistolini

Torna la lirica grandeur del progetto del cantante. Per i 25 anni di carriera l'artista va alla ricerca di una nuova espressività, con la collaborazione dell'Orchestra notturna clandestina diretta da Enrico Melozzi

Il famigerato e temuto disco con l’orchestra. Niccolò Fabi ci arriva per celebrare i 25 anni di carriera, invero stimabile, costellata di qualità, sebbene un filo sotto alle previsioni per quelli che avrebbero potuti essere gli auspicabili risultati di popolarità e circolazione. Del resto la natura di Niccolò è sempre stata schiva, improntata a un approccio con la creatività totalizzante, fino a suggerire un certo gusto per l’isolamento. Non a caso il suo più recente momento di successo diffuso è stato in occasione della stravagante unione di diversi talenti che l’ha spedito in tour insieme agli amici Gazzè e Silvestri storicizzando, una volta per tutte, il momento magico della canzone d’autore romana di fine Novecento.

 

Oggi invece, nel confrontarsi col cimento particolare del disporre della versione orchestrale della propria scrittura, incluse le infinite trappole e soluzioni, Fabi raggiunge risultati di notevole coerenza nell’adattamento di composizioni vecchie e nuove a questa sublime misura, al punto che nel giro di pochi ascolti l’ambientazione vasta, avvolgente e ricamata assume naturalezza nella coniugazione con la sua voce e, ancor di più, coi contenuti intellettuali delle sue canzoni, che ne fanno un caso a parte nello scenario della canzone d’autore del presente. In fondo Niccolò, più ancora di altri autori della sua generazione – appunto gli amici Max e Daniele – o di quella successiva, come Giovanni Truppi o Lucio Corsi, mantiene viva un’interpretazione classica della scrittura per pezzi brevi, in cui la qualità melodica e della confezione vanno necessariamente insieme a una selezione di contenuti alti, con implicazioni personali, psicologiche e perfino filosofiche.

 

Tutto ciò mentre attorno, invece, si è sviluppato un approccio alla scrittura di canzoni con riconoscibilità d’autore che viaggia su binari diversi, incarnato da figure relativamente nuove come Coez, Franco 126 o Gazzelle, per i quali il linguaggio della strada e la rappresentazione della casuale normalità del vivere, variamente intrisa di malinconia, insuccessi e confusione, sono la norma. È pleonastico mettersi a discettare attorno a quale di questi approcci aderisca meglio al concetto di contemporaneità e conviene piuttosto godere della differenza e seguire con attenzione il tentativo che Fabi dedica con questo album “Meno per Meno” alla decisione di rifare i suoi pezzi migliori in una veste inedita (nel disco ci sono quattro inediti e una mezza dozzina di rivisitazioni), con un’attenzione che va ben oltre il greatest hits e si colloca nella ricerca di una nuova espressività, con la collaborazione dell’Orchestra notturna clandestina diretta da Enrico Melozzi.

 

Che poi è la stessa formazione con cui Niccolò lo scorso ottobre s’è presentato per il concerto celebrativo della sua carriera di fronte a una platea di diecimila persone all’Arena di Verona, occasione per la quale sono stati concepiti questi arrangiamenti, successivamente completati da una composta ma percepibile addizione elettronica. Quindi un procedimento riflessivo e al tempo stesso evolutivo sul proprio percorso e sulla propria produzione, che avvicina la scelta di Fabi a quella di un altro autore sottostimato della nostra canzone come Luca Madonia, del quale abbiamo recentemente riferito, anche se le rispettive scelte vanno in direzioni antitetiche – la reinterpretazione intima e acustica nel caso di Luca, e la lirica grandeur di questo progetto di Niccolò. Per il quale, riguardo al posizionamento espressivo e alla evidente ossessione per il rigore che ne caratterizzano l’opera, viene in mente un paragone con un artista geograficamente lontano, ma in risonanza quanto al filo dell’ispirazione: il multiforme genio del Michigan Sufjan Stevens e la sua inesausta ricerca di nuove forme, sempre cangianti, instabili, eppure precise a cui affidare la propria visione musicale.

 

“Mi basterebbe essere padre di una buona idea”, canta Fabi, indicando il tormento e il rigore col quale continua a connettere il suo vissuto e la serietà del proposito artistico. Si direbbe che le idee non gli manchino, che le coltivi con cura e che mantenga con estrema dignità il proposito d’essere un protagonista atipico in una musica che cambia, ma che continua ad avere bisogno di lui. 

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