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fuori ora

Beyoncé, o la formidabile colonna sonora per un'estate d'abbandono

Stefano Pistolini

Il nuovo album “Renaissance”, un manifesto del piacere profano, che non ha bisogno di prese di posizone, ma ribadisce con la sua propria essenza che il personale è politico

Proprio in coda alla travolgente cavalcata ritmica lunga un’ora e chiamata “Renaissance” – il suo nuovo album, il settimo – Beyoncé offre la chiave di lettura per i duri di comprendonio: il pezzo è intitolato “Summer Renaissance” e colloca con esattezza nella stagione bollente l’ambientazione e l’intenzione di questo lavoro, laddove, per i più fortunati o per i più scalmanati, “estate” possa essere sinonimo di “edonismo”. In sovrappiù, dopo poche battute, il pezzo imbocca l’immortale riff ritmico di “I Feel Love” che Giorgio Moroder scrisse per Donna Summer, e la voce di Bey va su, su, fino a riagganciare quel mitico gorgheggio.

 

E’ la nota a piè di pagina d’un album col quale l’artista numero uno della black music contemporanea spiazza i suoi ascoltatori, dribblando il lavoro tutto-impegno, statement e prese di posizioni sociopolitiche che sarebbe stato lecito attendersi da lei e – proprio come ha fatto Kendrick Lamar nel recente “Mr. Morale & the Big Steppers” – imbocca i risvolti intimi della sua ispirazione, senza darsi pena di negare i suoi appetiti più provinciali e ribadendo il vecchio adagio secondo il quale il personale può ben essere politico, senza bisogno di slogan e discorsi motivazionali, tanto meno in musica.

 

“Renaissance” è un disco da ballo, dominato dalla formidabile capacità di modulazione vocale di Beyoncé e dedicato a esplorare una serie di chiavi espressive della musica nera sul dancefloor, a partire dalla disco anni Ottanta, con particolare attenzione agli eclettismi dell’house music anni Novanta – New Jack Sound e Jersey Club – con saltuarie incursioni nel southern rap, echi di soul-funk e le abituali citazioni gospel che abitano nei cromosomi di Bey. I più attenti, del resto, noteranno la singolare coincidenza tra l’album a sorpresa che Drake ha pubblicato il mese scorso, “Honestly, Nevermind” (a meno d’un anno di distanza dalla sua ultima uscita ufficiale, “Certified Lover Boy”), e questo lavoro di Beyoncé: nella maggioranza delle tracce, entrambe le opere suonano house, connettendosi spudoratamente a quel sound di fine millennio nato nell’underground di Chicago e che fu iniziale prerogativa dei djs afroamericani prima che, con una bizzarra giravolta, la questione diventasse proprietà e gestione di produttori e musicisti bianchi, indirizzata a un pubblico interamente bianco.

 

Vogliamo collocare in questo territorio periferico e specialistico la presa di posizione di Beyoncé, ovvero il desiderio di riappropriazione di un suono, manifestato in sintonia col rapper canadese, che è anche uno dei suoi collaboratori per “Renaissance”? Propendiamo per il sì, perché tanto Drake che Beyoncé sono personalità interamente musicali, nate e cresciute dentro un’industria che conoscono come pochi e sulla quale sanno esprimere riflessioni non banali. Al di là di queste congetture, comunque, “Renaissance” è una formidabile colonna sonora per chi abbia voglia di vivere un’estate d’abbandono, il più lontano possibile dagli accidenti che conosciamo: “Con tutto l’isolamento e l’ingiustizia che abbiamo vissuto nell’ultimo anno, penso che siamo tutti pronti a fuggire, a viaggiare, a tornare a ridere e ad amare. Sento emergere un rinascimento e voglio stare vicino a chi coltiva questo desiderio d’evasione”, ha detto Bey nell’intervista a Vogue con cui ha lanciato il disco.

 

Se in “Lemonade” (2016) lei tracciava una linea precisa nella definizione estetica del ruolo femminile/black nell’arte visuale contemporanea, con “Renaissance” si proietta interamente verso il pubblico, con lo slancio della classica diva da dancefloor. Dissemina nel disco citazioni evocative – da “I’m Too Sexy” di Right Said Fred in “Alien Superstar”, alla Teena Marie di “Ooh La La La” in “Cuff It” – e dispiega le sue sbalorditive capacità vocali, facendo di “Renaissance” un manifesto del piacere profano, in risposta alle prove sempre più difficili a cui ci sottopone il nostro tempo.

 

Inevitabilmente si parlerà di svolta decadente di Beyoncé, immersa nel privilegio, distante dalla realtà, dedita al culto delle marginalità, nel solco dei suoi 40 anni d’estremo successo. Lei non smentisce niente, sottolinea invece che “Renaissance” è solo il primo atto di una trilogia che vedrà la luce in tempi non lunghi. E che adesso il suo desiderio è di chiamare a raccolta coloro che abbiano ancora voglia di celebrare, di vivere fino in fondo, di non sottomettere ad alcuna restrizione, di non piegare ad alcuna limitazione la propria libertà e le proprie aspirazioni. E con loro d’inoltrarsi in una notte di trasgressione e di follia.

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