Marc Ribot al Guitar Festival di Cordova nel 2015 (Ansa) 

Festa di chitarra. I retroscena dello spettacolo di Marc Ribot a Castelfranco Veneto

Marco Ballestracci

Un teatro piccolo piccolo per un maestro del rock grande grande. Nel recital, tra pezzi di Coltrane e Armstrong, e qualche blues ancestrale, sono comparsi dei brani di Frantz Casseus. "È stato prima il mio maestro e poi un amico. Ma è probabile che la musica che suono adesso sia una regressione dai suoi insegnamenti”

È davvero un’anabasi risalire alla ragione per cui uno dei più importanti chitarristi al mondo abbia tenuto un inaspettato recital sul palco d’un piccolo teatro d’una cittadina nel cuore del Veneto. Dal punto di vista estetico, tuttavia, non c’è da proferire parola. Il Teatro Accademico di Castelfranco Veneto è davvero affascinante. E’ stato costruito nella seconda metà del Settecento su progetto dell’architetto Francesco Maria Preti e viene di solito amabilmente definito, soprattutto dai locali, ma anche da osservatori neutrali, un “gioellino” o una “bomboniera”. Il problema è che si tratta d’un piccolo teatro all’italiana: perciò non ha, tra platea e palchetti, un adeguato numero di posti che consentano un ragionevole recupero dei costi che gli eventi d’un certo spessore trascinano, così la municipalità preferisce non avventurarsi tra le pieghe di un cartellone artistico all’altezza di uno scenario tanto grazioso. Allora lo scintillio neoclassico è alla fine diventato oggetto di semplici visite guidate, nonché di incontri di vario genere e, in generale, appannaggio di gruppi dilettantistici musicali e teatrali che s’imbattono nell’inopinata ventura di disporre di un’ambientazione al di sopra delle proprie capacità artistiche.

 
Così, nonostante qualche volta appaia un nome un tantino risonante sul cartellone degli eventi, è perfettamente naturale porsi la questione di come accidenti sia stato possibile che sulle assi di quel palco, a fine primavera 2022, sia salito per prodursi in un recital Marc Ribot. Cioè il chitarrista che da molto tempo accompagna Tom Waits, l’ultimo e indiscutibile genio della musica che chiamiamo rock’n’roll.

  

Nel recital di Ribot a Castelfranco tra pezzi di Coltrane e Armstrong, e qualche blues ancestrale, sono comparsi dei brani di Frantz Casseus

 
Cosa significhi collaborare con Tom Waits è spiegato con una certa dovizia dalle descrizioni che trapelano all’esterno degli studi di registrazione: “Beh, stavamo suonando ‘Fish In The Jailhouse’ (dall’album ‘Orphans’ del 2006) e non capivamo un accidente del pezzo: il batterista andava da una parte e io dalla parte opposta. Così abbiamo sospeso la prova e chiesto a Tom cosa desiderasse di preciso dalla canzone. C’ha pensato su un po’ e poi ha detto: ‘Beh, mi piacerebbe che in questo brano suonaste come suonereste alla festa del bar mitzvah di un nano’. Ci siamo guardati e abbiamo pensato che la cosa migliore fosse interrompere la seduta di registrazione, mollare gli strumenti e andare fuori a farci un bicchierino, che poi si lavora meglio”.

   
Tuttavia circoscrivere la lista delle collaborazioni di Ribot a quella con Tom Waits, per quanto sia un sodalizio straordinariamente eclatante, è un tantino ingiusto, infatti il colore scarlatto della sua musica ha dato connotazioni precise, tra moltissimi altri, agli album di Marianne Faithfull, Elvis Costello, Joe Henry e pure al più irriducibile waitsiano dei musicisti italiani: Vinicio Capossela.

   
Insomma, nonostante si fosse pressoché certi che da dietro le quinte sarebbe spuntato davvero Marc Ribot, molti si grattavano la testa per cercare la ragione per cui uno avvezzo a simili collaborazioni artistiche si trovasse lì e che persino, come ha detto chi l’ha introdotto, “è stato felice di accettare l’invito del nostro piccolo teatro e nella mail su cui mi ha risposto ha scritto: ‘Beh, finirò la seduta di registrazione a New York con John Zorn tre giorni prima del vostro concerto, ma non vi preoccupate: ci sarò!’”.

    

Ribot: “Casseus è stato prima il mio maestro e poi un amico. Ma è probabile che la musica che suono adesso sia una regressione dai suoi insegnamenti”

 
Il motivo per cui codesto miracolo – perché di autentico miracolo si tratta – è accaduto si trovava all’interno delle due lunghe suite chitarristiche solitarie che hanno costituito il recital del chitarrista di Newark (che, diciamocelo, è come dire New York City). Tra riletture di pezzi di John Coltrane e Louis Armstrong, tra parentesi del proprio personale repertorio e di qualche blues ancestrale, sono comparsi dei brani d’un chitarrista e compositore classico haitiano trapiantato a New York: Frantz Casseus.

 
È sorprendente scoprire che un chitarrista come Marc Ribot, che spesso ha trascinato la propria musica e quella degli artisti che si sono avvalsi della sua collaborazione vicino a dei confini sonori lancinanti, abbia tratto ispirazione da un musicista classico.

 
“In realtà io non ho affatto tratto ispirazione. Frantz Casseus è stata una vera e propria presenza fisica. E’ stato prima il mio maestro di chitarra e poi è diventato un amico. Sembra strano, ma nonostante la mia musica si sviluppasse verso altre direzioni, Frantz ha continuato a essere il mio maestro. Anche se, a vederla in un altro modo, è molto probabile che la musica che suono adesso sia in realtà, più che uno sviluppo, una regressione dai suoi insegnamenti”.

 
Così nel 1993, poco prima della morte di Frantz Casseus, tra le collaborazioni più diverse – John Zorn, Kazutoki Umezu, John Medeski, Elvis Costello – Marc Ribot pubblicò un disco di composizioni del chitarrista di Port-au-Prince: “Marc Ribot Plays Solo Guitar Works of Frantz Casseus”.

 
“Per Frantz, col passare del tempo, era sempre più difficile suonare la chitarra a causa del dolore che gli provocava una vecchia ferita alla mano. Così abbiamo pensato che potessi essere io a registrare un compendio delle sue composizioni, con in più alcuni brani che non erano mai stati pubblicati”.

 

Mesirca: “Rimasi colpito dal colore dei brani di Casseus, combinavano i ritmi africani con le influenze creole e le melodie tradizionali”


Ma se da una parte dell’Oceano, quella in cui si trova New York, il contatto tra Frantz Casseus e Marc Ribot è stato, possiamo dire, consequenziale e ragionevolmente rapido, dall’altra parte dell’Atlantico, là dove si trova il grazioso teatro neo-classico, la questione è stata decisamente più avventurosa: quasi, come si è detto, un’anabasi.
E’ la sorte, o come la si vuol chiamare, che ha fatto nascere proprio nella città del “gioiellino” architettonico neoclassico uno dei più importanti esecutori alla chitarra delle sonate di Domenico Scarlatti.

 
“Questo ragazzo è una benedizione per la mia musica. Il suo Scarlatti è da togliere il fiato”, a sostenerlo nel 2016 è stato il compianto maestro Angelo Gilardino, mentre per l’American Record Guide il ragazzo suona “il miglior Scarlatti che si sia mai ascoltato da una chitarra solista”.

  

Marc Ribot non è più il solo a gettarsi a capofitto nella folle impresa di raddrizzare i torti che avevano oscurato il genio d’un grande musicista

 
È in quanto giovane e indiscutibile prodigio scarlattiano che Alberto Mesirca collaborò a Pontedera col Workcenter of Jerzy  Grotowski and Thomas Richards. Impressionò immediatamente gli ascoltatori, venendo seduta stante invitato a Vienna per un incontro della League of Crafty Guitarists, un’orchestra di chitarre classiche fondata da un altro gigante della musica: Robert Fripp.

 
Richard Tettero, uno dei membri dell’orchestra, dopo averlo ascoltato lo avvicinò dicendogli che, in Olanda, un musicista-produttore era alla ricerca d’un musicista molto preparato che fosse in grado di lavorare a un progetto che riguardava un semi-sconosciuto chitarrista classico haitiano: Frantz Casseus.

 
“Francamente, se dicessi che conoscevo Frantz Casseus mentirei. Aveva inciso veramente poco e per case discografiche minori, ma Gert-Jan Blom, il produttore olandese, mi spiegò che l’urgenza scaturiva da una sorta di riconoscenza che Marc Ribot, amico di Blom, voleva esprimere verso quello che era stato il suo maestro, Casseus appunto, che non era ricordato come meritava. Gert mi aveva detto che Ribot aveva inciso un disco di sola chitarra in cui suonava le composizioni del suo maestro. Quando riuscii ad ascoltare l’album rimasi molto colpito dallo straordinario colore musicale dei brani, che combinavano i ritmi africani con le influenze creole e le melodie tradizionali. Tuttavia la struttura dei pezzi mi ricordava il modo di comporre dei musicisti dell’Europa occidentale. Era chiaro che Casseus conosceva molto bene il repertorio classico, ma che aveva lavorato duramente per ottenere una propria forma di espressione. Perciò fui immediatamente d’accordo con Marc Ribot, che peraltro ancora non conoscevo e neppure immaginavo di conoscere in futuro: davvero Frantz Casseus non era apprezzato come meritava. Decisi così di impegnarmi su quel progetto, pensando che sarebbe stato chitarristicamente molto stimolante”.

 
Però il contatto tra Ribot e Mesirca fu inevitabile quando l’artista americano scoprì tra i dischi che aveva ereditato dopo la morte del suo maestro un cofanetto di Chopin, in cui Casseus aveva conservato un manoscritto che conteneva decine di sue composizioni mai suonate in pubblico e quindi neppure registrate.

 
“Il fatto che un giovane chitarrista classico in Europa avesse deciso di incidere i brani del mio maestro e che io al contempo avessi recuperato quel materiale, possiamo dire, ‘segreto’, m’è parso un segno del destino. Così abbiamo cominciato a lavorare insieme sul completo recupero del nuovo materiale scoperto, anche se è Alberto Mesirca ad aver svolto il lavoro più duro, perché possiede le competenze musicologiche per avvicinarsi ai reali intendimenti di Frantz Casseus laddove le annotazioni risultavano incomplete. Sono procedimenti e competenze musicologiche che io non posseggo affatto ed è proprio il destino, o chiamatelo come volete, che m’ha fatto incontrare l’uomo giusto dall’altra parte del mondo. Certo è che ascoltare l’album del maestro Mesirca, ‘Haitian Suite – The Music of Frantz Casseus’, che contiene oltre ai pezzi che già si conoscevano anche diciotto delle composizioni che erano conservate nel manoscritto dentro al cofanetto di Chopin, per me è stato molto emozionante. Getta una nuova luce sul modo di pensare e di sviluppare la musica di un compositore ingiustamente dimenticato. Allo stesso tempo questo lavoro di riscoperta e ricostruzione rappresenta davvero un evento unico per il mondo della chitarra classica, nonché un momento importante per la storia della musica haitiana”.

    
Questa è la ragione per cui Marc Ribot, probabilmente il collaboratore più importante di Tom Waits, si trovava, in una piacevole serata di primavera, sul palco del teatro neoclassico di una cittadina nel cuore del Veneto, tre giorni dopo avere concluso delle sessioni di registrazione con John Zorn a New York City. Perché fino a un po’ di tempo prima era il solo a incastonare nelle sue esibizioni, tra John Coltrane e Louis Armstrong, “Haitian Suite – Petro” e “Simbi” di Frantz Casseus. Più recentemente, invece, anche Alberto Mesirca  saliva sul palco e proponeva composizioni del maestro haitiano e quel recital inatteso di Marc Ribot rappresentava la contropartita per il sollievo di non essere più il solo a gettarsi a capofitto nella folle impresa di raddrizzare i torti che avevano oscurato il genio d’un grande musicista.

 
In più immaginare che, prima o poi, un’artista quasi dimenticato, grazie al lavoro di codesti raddrizzatori di torti sparsi qua e là nel mondo, torni a risplendere è di molto conforto anche per i semplici appassionati di musica.

 
Accadde, per esempio, l’11 marzo 1829 alla Singakademie di Berlino quando Felix Mendelssohn Bartholdy rivelò la bellezza della “Passione di San Matteo” dopo settantanove anni dalla morte di Johann Sebastian Bach. Grazie a Marc Ribot e ad Alberto Mesirca abbiamo dovuto attendere molto meno per apprezzare le straordinarie armonie chitarristiche di Frantz Casseus.

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