L'epilogo dei Daft Punk e quel muro sempre più alto tra passato e presente

Stefano Pistolini

Dopo quasi 30 anni si separano le strade di Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo, i due parigini che dai primi anni Novanta sono stati alfieri conclamati del suono dance francese

Il video d’addio, pur non nuovo, è belloccio: una scena prelevata da “Electroma”, loro film del 2006, in cui i due Daft Punk camminano nel deserto, prima affianco, fin quando Thomas Bangalter, quello col casco d’argento, non rallenta e resta indietro. Allora l’altro, quello col casco d’oro, Guy-Manuel de Homem-Christo, torna a prenderlo. Ma il socio gli fa capire che per lui finisce qui: si fa innescare il meccanismo di autodistruzione e sessanta secondi dopo esplode. Il tramonto è magnifico e parte il lirico refrain di “Touch”, quello che dice “se l’amore è la risposta, tu sei a casa” e somiglia un po a “Hey Jude”. Tutto semplice, romantico, un po’ appiccicoso, assai piacione, furbo e fighetto. Proprio come la musica dei Daft Punk, i due parigini che dai primi anni Novanta sono stati alfieri conclamati del suono dance francese, una formula gradevole e sempre un filo innervosente, capace di tenere eternamente in bilico pop, electro e house, con un rivierasco pendant edonistico, colonna sonora dell’eterna good life della quale è rinfrancante illudersi.

 

Il bello dei Daft Punk, perfino oltre i tormentoni che fanno da segnalibro a tante nostre stagioni, sta nell'intuizione di essere sempre stati un’idea basica, perfettamente accessibile da grandi e piccini, dagli stilisti di St Germain come dai ragazzi di paese, e però dando vita a un’architettura originale, che includeva ben di più di canzoni e musichette, risucchiando visualità, moda, immaginari fantastici, vetrine scintillanti e cantine fumose, piste illuminate e appartamenti intellettuali. Dunque un progetto rotondo d’immersione in una cultura pop sempre meno preoccupata di restare al passo coi tempi (che peraltro diventavano sempre meno pop) e invece cristallizzata nel momento d’oro di fine Novecento, quando il digitale non aveva ancora del tutto travolto l’elettronica.

 

L’emblema di questo design - che inizialmente coinvolse un terzo amico, Laurent Brancowitz, che sarebbe andato per la sua strada fondando un altro marchio di successo, Phoenix - al momento del decollo verso il successo è stata la semplice idea dei due robot vestiti come due “normali”, con l’impermeabile, i completi da travet, le movenze circospette, ma in testa i celebri caschi, immortalati in video griffatissimi, da Spike Jonze a Michel Gondry. Il resto capitava tutto nella privacy degli studi di registrazione in cui Guy-Manuel e Thomas avevano circoscritto la loro attività, a parte qualche sortita live piuttosto leggendaria, come il celebre concerto in un altro deserto, quello di Indio, dove la beautiful people californiana in primavera celebra Coachella. Daft Punk diventano dunque l’epitome del prodotto da sala di registrazione, con la loro mania per le collaborazioni con i loro idoli musicali – Moroder e Nile Rodgers -, i featuring dei talenti emergenti - Pharrell Williams, The Weeknd - la cura certosina dedicata alla realizzazione dell’ennesimo hit perfetto. Un fumetto di successo - intelligente, certo.

 

Cos’altro sono stati i Daft Punk se non due chic e asincronici fumetti musicali? Poi il gioco, prolungandosi, diventava anacronistico: venduti tutti i dischi che era possibile vendere – quando, ai tempi di Random Access Memories, ancora si vendevano gli ultimi dischi – concretizzati tutti i capricci, dopo aver reso sempre più sporadica la propria produzione, infine i Daft Punk hanno deciso di chiudere, non eclissandosi silenziosamente, ma lanciando l’ultima party globale. Il mondo ha risposto all’annuncio del commiato salutandoli con un affetto superiore perfino alle aspettative. Sarà che siamo tutti emotivamente destabilizzati, ma apprendere che anche quelli di “Get Lucky” trovano opportuno liquidare l’attività, non fa che acuire la sensazione di passato e presente e del muro sempre più alto che si è alzato tra le due dimensioni. 

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