Pop X nel video della canzone “Secchio”

Rilke e Pop X

Edoardo Camurri

Nel 1929 il poeta delle “Elegie duinesi” aveva recensito un album italiano che esce tra pochi giorni

Nel 1929, nel libro postumo “Verse und Prosa aus dem Nachlass”, in particolare alle pagine che vanno dalla quarantuno alla quarantanove, nel saggio ivi contenuto intitolato “Ueber Kunst”, Rainer Maria Rilke, il poeta delle “Elegie duinesi”, scrisse la prima fondamentale recensione al nuovo disco di Davide Panizza, cioè Pop X. Se qualcuno dovesse pensare che tutto questo è impossibile perché il 1929 non è il 2018 – ed è un’osservazione di una banalità sconcertante che non fa onore agli amanti dell’arte e della bellezza per i quali il tempo lineare non è altro che una forma di superstizione – allora può smettere di leggere qui e tornare ai fatti suoi. Ciao.Gli altri invece possono proseguire.

 

Scriveva Rilke a proposito di “Musica per noi” di Pop X: “Nessun autocontrollo, nessuna autolimitazione per raggiungere determinati fini, ma un libero lasciarsi andare: nessuna prudenza, ma una saggia cecità; nessuna conquista di beni certi che lentamente si accumulino, ma una continua dissipazione di tutti i beni perituri. Questo modo di essere ha qualcosa di ingenuo e istintivo (traduco così il termine Unwillkürliches) e assomiglia a quel periodo di inconsapevolezza (des Unbewussten) che soprattutto si distingue per una confidenza gioiosa: l’infanzia”.

 

  

Ora, sorvoliamo sul fatto che proprio in quest’ultimo disco Pop X si concentri molto sul tema della vecchiaia, ma ciò che scrive Rilke è importantissimo per comprendere la poetica di Panizza che, come Rilke stesso notava, è la cifra che distingue gli artisti autentici da tutti gli altri. Gli altri conservano, confermano, vanno incontro alle attese del pubblico e in definitiva annoiano; gli artisti autentici invece realizzano i propri desideri primitivi, si rendono irriconoscibili, giocano con la morte e con la vita, seguono il proprio istinto primordiale e il piacere polimorfo e pongono tutto questo al di là di ogni calcolo di successo. I primi insomma sono dei commercialisti dello spirito, i secondi dei discepoli di Dioniso.

   

 

Il passaggio da Lesbianitj, il primo disco ufficiale di Pop X, a questo “Musica per noi” è il manifesto di questa sublime dissipazione dell’artista. Per dire, Davide Panizza è un fuoriclasse nello scrivere i testi delle sue canzoni. In Italia non c’è nessuno bravo come lui. Ecco, in “Musica per noi” abbandona ogni sicurezza di talento e ogni autocontrollo (Rilke!) per andare oltre le parole, costruendo non tanto canzoni ma macchie di Rorschach musicali, mangiandosi le frasi, sconvolgendole, stando dentro un maelstrom di senso in cui, verrebbe da dire, tutta la modernità finisce col collassare. Per cercare un’immagine capace di sintetizzare l’atmosfera del disco, è un po’ come se Houellebecq arrivasse a Napoli Centrale e da lì osservasse l’esplosione del mondo; e allora ogni traccia di quest’album non è altro che un rivolo colorato e purulento sopravvissuto alla deflagrazione finale. Recensendo “Musica per noi” trent’anni dopo Rilke, il fondatore del surrealismo André Breton scrisse: “Di fronte alla partitura che Panizza è in procinto di attaccare, l’orchestra (cioè i complici di Panizza: Walter Biondani, Niccolò Di Gregorio, Luca Babic, Andrea Agnoli, Laura Nen, ndr) non potrà fare a meno di ricorrere a certi stridori. Di fronte al Male, le regole del gioco sono dettate dall’unione che trascina con sé tutti in una volta i nembi di una burrasca satura di sale”*. Che cos’è per esempio lo yogurt evocato nel brano “Maturità” se non un numinoso gorgo, una burrasca satura di sale, dentro cui ciascuno di noi è destinato a precipitare man mano che ci avviciniamo alla fine, forse verso quell’“Abisso del Male” di cui parla Breton? E’ come quando Hal 9000, il computer di “2001: Odissea nello spazio”, una volta impazzito, si mette a cantare “Daisy” o “Giro girotondo”. Per farla breve, il punto è: questa e solo questa può essere “Musica per noi”.

 

*La citazione di André Breton è letterale ed è tratta dall’introduzione che nel 1959 compilò per “Il concilio d’amore”, un’opera teatrale sulla diffusione della sifilide in Europa. Questa “tragedia celeste” fu scritta da un grande autore che di cognome faceva davvero Panizza. Oskar Panizza nacque in Franconia, nel centro della Germania, il 12 novembre del 1853 e fu arrestato per oltraggio alla divinità proprio a causa di questo suo testo. Dal 1905 al 1921, vicino alla wagneriana Bayreuth, più esattamente a Herzoghöhe, Panizza fu poi rinchiuso fino alla morte in un manicomio. Se la sua sorte e le circostanze politiche fossero state più clementi, oggi lo ricorderemmo come un grande autore.

Non crediamo quindi sia del tutto sbagliato immaginare che quest’ultimo lavoro del quasi omonimo Panizza sia come un omaggio e un saluto e un proseguimento della sua opera.

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