Il Foglio della moda

Sempre cara mi fu la pelle

Giorgia Motta

Vera o finta? Battaglie in corso su diciture, componenti, effetti e performance di scarpe e abiti. Risultato: molta confusione per i clienti, dice il conciatore più cool, Alessandro Iliprandi di Bonaudo

“I chose Bonaudo because he’s simply the best”, ci disse qualche mese fa Brett Johnson, stilista del lusso maschile, usando un’espressione che, data la giovanissima età, doveva aver sentito direttamente in casa, visto che il padre è Robert Johnson, il multimiliardario fondatore di BET (Black Entertainment Television) e massimo promotore della creatività afroamericana, cantanti compresi. Volendo capire perché uno stilista vantasse l’eccellenza dei propri fornitori, fatto non troppo comune in un mondo dove è solo il brand di vendita a essere messo in risalto e i produttori ridotti legalmente al silenzio, abbiamo cercato di capire come mai una conceria, dunque un produttore alla base della complessa piramide della moda, sia diventato un “ingredient brand” alla pari di quello che Intel è per la componentistica dei pc, diciamo un “Intel inside” di giacche e pantaloni in pelle, insomma a sua volta un marchio così rilevante da meritare la citazione orgogliosa.

 

Voleste cercare Bonaudo anche solo sul web, capireste il perché: ambienti di design, bottali scintillanti, colori raffinati alle pareti. Si riesce persino a immaginare che venga diffusa della musica. L’esatto opposto della percezione comune di una conceria e della storia del mestiere: “D’altronde, se voglio attrarre giovani, devo rendere l’ambiente piacevole”, dice Alessandro Iliprandi, seconda generazione alla guida dell’azienda di cui il padre era azionista di minoranza e che negli anni ha rilevato; centoquaranta dipendenti, 60 milioni di fatturato in recupero dopo lo shock della pandemia. L’età media degli apprendisti è di diciotto anni; ricevono la formazione direttamente in azienda, come accade un po’ ovunque a causa della scarsità di istituti professionali adeguati alle richieste di un mercato in evoluzione e che è causa di molti grattacapi in Cna e nelle altre associazioni artigianali che da anni implorano il governo di mettere mano agli ITS e di renderli attraenti fra gli adolescenti; Bonaudo, come molti altri colleghi, spera nella realizzazione di un reality che renda il mestiere di conciatore e di pellettiere cool come, negli anni, è accaduto con quello di cuoco, anzi di chef. Nel frattempo, lavora sulla valorizzazione del brand e di sé: fra pochissimi, ha un profilo Instagram molto attivo, dove ben figura accanto alla moglie, presenta cataloghi fotografati come si deve, cioè con le luci giuste, è sempre disponibile.

Gli ambienti da showroom di lusso si trovano a Milano, anzi Cuggiono, provincia sud, Verona, Montebello: tre sedi vicine ai grandi centri di produzione pellettiera del nord, nella logica semplice e ideale del valore territoriale del distretto. Bonaudo, come si intuisce perché anche i cognomi sono una testimonianza cartografica mica da ridere, è nata nel 1923 a Chivasso, in Piemonte, specializzata nelle pelli che allora rivestivano le mani e le cappe da sera delle signore: vitellino, canguro, cervo, capretto. Adesso che la confusione, molto indotta, sulla sostenibilità delle pelli, ha reso nappe e suede un materiale sospetto per una fascia molto precisa di consumatori, Iliprandi tiene a sottolineare come la concia svolga un ruolo fondamentale nell’economia dell’upcycling e che “fino a quando l’uomo continuerà a mangiare carne”, la trasformazione delle pelli sarà non solo utile, ma indispensabile per evitare lo smaltimento di un rifiuto costosissimo e altamente inquinante. Volessimo escludere certe pelli pregiate, tipo pitone o coccodrillo, per le quali gli stessi brand hanno acquisito e sviluppato nel tempo allevamenti e concerie, e che comunque paiono in vertiginosa caduta di gradimento presso il pubblico più giovane, si potrebbe affermare che nessun animale venga allevato per rivestire le nostre spalle. Si tratta dei resti dei nostri hamburger; certamente troppi, epperò. “Il valore della pelle non supera il 3 per cento di quello totale dell’animale”, spiega Iliprandi che acquista i suoi “sottoprodotti della zootecnia”, bovini e ovini, non solo in Italia, ma soprattutto in Francia, Spagna e Grecia.

Dice che del mestiere lo affascina l’opportunità di trasformare un rifiuto in un prodotto di lusso, e anche di riqualificare la professione: “Stiamo vivendo un cambiamento epocale: il mondo della moda di alta fascia è nelle mani di due grandi gruppi; i clienti comprano sempre di più online e tutti chiedono il brand”. Per questo è diventato brand anche lui: “Bisogna aver un nome, fabbriche d’avanguardia, moderne”, e anche un occhio attento sulla consulenza, perché le famose “sinergie” col territorio e con la moda si ottengono solo esercitando l’occhio, affinando il gusto. E, diremmo noi, lavorando anche di psicologia: se le pelli per le future stagioni, come osserva Iliprandi, saranno “sempre più leggere e colorate”, è anche perché, con ogni probabilità, dovranno sempre più allontanare dal cliente l’evocazione materica, la gravitas della loro natura. “Vede, io non ho alcun problema ad accogliere fra le nostre fila i creatori di materiali alternativi alla pelle animale: l’importante è che la qualifichino per quella che è. Quasi sempre, un derivato da materie plastiche o che di additivi sintetici hanno bisogno per raggiungere l’effetto ottico e le performance che un cliente di scarpe o di giacche di pelle di oggi si attende”.

 

La sensibilità alle problematiche della sostenibilità e dell'impatto ambientale hanno condizionato profondamente la costruzione dei siti produttivi Bonaudo, oggi dislocati a Milano, Verona e Montebello. Le misure adottate hanno consentito di ottimizzare il processo produttivo e migliorare l’ambiente lavorativo: consumi energetici ridotti al minino grazie all’isolamento termico dei fabbricati, illuminazione e aerazione naturale, impianti termici ad alto rendimento e rivestiti da materiali isolanti che minimizzano le dispersioni, illuminazione a basso consumo, ampie zone a verde pari all’area coperta per assorbire anidride carbonica, razionalizzazione del trasporto delle merci. Perché la pelle è un sottoprodotto della zootecnia che la concia inserisce in un processo di upcycling.

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