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in parlamento

La Camera approva la riforma del Codice della Strada: cosa cambia e cosa no

Giovanni Battistuzzi

La riforma voluta da Matteo Salvini è stata approvata a Montecitorio con piccole modifiche che non cambiano l'assetto originale. I problemi sono rimasti gli stessi. Soprattutto uno: non migliorerà la sicurezza sulle strade, anzi. Ora tocca al Senato

La Camera dei deputati ha approvato con voti 163 favorevoli e 107 contrari (le opposizioni hanno votato "No" in modo compatto) il ddl "Interventi in materia di sicurezza stradale e delega al Governo per la revisione del codice della strada". Il testo ora passerà all'esame del Senato.

Qualcosa è cambiato rispetto alla proposta del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini. Numerosi sono stati gli emendamenti, qualcuno di questi è stato accolto.

Cosa cambia

In realtà poco rispetto all'impianto originale della riforma. Si tratta soltanto di aumenti delle sanzioni contro chi guida in stato di ebbrezza e sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Le nuove norme hanno abolito il requisito dello stato di alterazione per configurare il reato di guida sotto effetto di droghe, cioè non è più necessario che l’autista sia in evidente stato di alterazione psico-fisica per essere sanzionato ma basterà un risultato positivo al test; la Camera ha inoltro aumentato di un terzo le sanzioni per chi viene fermato alla guida con un tasso alcolemico tra gli 0,5 e i 1,5 grammi per litro (sospensione raddoppiata se si usa l'auto di un altro). Inoltre nei due o tre anni successivi, a seconda della gravità dell'infrazione, sarà obbligato a rinnovare la patente svolgendo una nuova visita medica.

Sanzioni che possono essere anche considerate giuste e in linea con la promessa del ministro Matteo Salvini di incrementare la sicurezza sulle strade, ma che non tengono conto della diffusione del problema: secondo l'ultima Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia tra il 2001 e il 2021 solo il 4,9 per cento degli incidenti è stato causato da chi guidava in stato di ebbrezza e l'1,6 per cento da persone sotto effetto di sostanze stupefacenti.

Nella riforma sono state anche attenuate le norme ​sulla circolazione nelle zone a traffico limitato. Il testo che verrà discusso al Senato ora prevede che chi infrange il divieto di ingresso non potrà ricevere più di una multa in uno stesso giorno e ci sarà maggiore tolleranza in merito al tempo di permanenza, soprattutto in occasioni di rallentamenti dovuti al traffico o eventi straordinari.

Piccole modifiche sono state inserite anche per la cosiddetta "sospensione breve della patente". Per chi commette alcune infrazioni, tipo la guida con il telefonino in mano o senza cintura, e ha venti punti, la sospensione potrà essere di 7 giorni (si ipotizza, perché ancora non è certo), mentre per chi ha meno di 10 punti potrebbe aumentare sino a 15. Per la verifica della commissione di alcuni illeciti, inoltre, il provvedimento potrebbe introdurre l’impiego di strumenti da remoto, come telecamere o altri mezzi di vigilanza, senza una contestazione immediata.

Cosa non cambia

Sono state quasi totalmente ignorate le richieste avanzate da urbanisti ed esperti della mobilità e della sicurezza stradale, che avevano suggerito una revisione del progetto di riforma poiché le nuove norme non aumenterebbero davvero la sicurezza delle nostre strade, anzi peggiorerebbero una situazione già complessa e problematica. Neppure gli appelli delle associazioni dei parenti delle vittime sono stati ascoltati.

Esperti e parenti delle vittime avevano chiesto soprattutto una revisione dei limiti di velocità, essendo proprio la velocità elevata la principale causa di morti sulle strade italiane. Revisione che non è arrivata, anzi. Non solo i limiti rimangono quelli in vigore, ma è stata confermata la scelta di rendere ben più difficile, quindi pressoché impossibile, ai comuni di agire in modo autonomo nella scelta di abbassare il limite di velocità nelle zone urbane, attualmente di 50 chilometri orari: tutto dovrà passare dal ministero e sarà il Mit a dare il via libera.

L'unica differenza è che chi viene multato per eccesso di velocità in città per due volte nell’arco di un anno dovrà pagare una multa che potà salire fino a 1.084 euro con la sospensione della patente per un periodo da 15 a 30 giorni. C'è però un problema: l'utilizzo degli autovelox sarà permesso solo se il massimo della velocità concessa su quel tratto è inferiore di non oltre 20 km/h rispetto a quanto previsto dal Codice per quel tipo di strada. Esempio: nelle strade extraurbane il limite di velocità è di 90 km/h, molte delle strade extraurbane però attraversano centri abitati nei quali il limite di velocità dovrebbe essere di 50 km/h, ma essendo la strada considerata extraurbana non potrà essere installato un autovelox perché il massimo della velocità concessa è superiore della forbice di 20 km/h fissata per legge. Insomma, la norma introdotta in Parlamento non migliora l'idea originaria di vietatare l'utilizzo degli autovelox sotto i 50 all'ora in città, nelle strade urbane e nelle strade extraurbane sotto i 90 all'ora.

Anche per quanto riguarda la ciclabilità non c'è stato nessun passo avanti, nonostante qualsiasi studio fatto sulla mobilità abbia evidenziato che esiste una correlazione tra aumento delle infrastrutture ciclabili, l'aumento degli spostamenti in bicicletta, la riduzione del numero di automobili e la diminuzione delle morti dovute all'incidentalità stradale. La riforma però non va in questa direzione e – nonostante introduca "l’obbligo di sorpasso a un metro e mezzo di distanza dal mezzo ciclabile", ma solamente "dove le condizioni della strada lo consentono" (che in pratica vanifica la norma) – non introduce facilitazioni nella creazione di corsie ciclabili, ossia il modo più semplice e meno dispendioso per i comuni per migliorare la sicurezza dei ciclisti, ma parla solo ed esclusivamente di piste ciclabili, ossia di infrastrutture protette fuori dalla carreggiata, quindi molto più costose per i comuni e di più difficile realizzazione.

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