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Il Codice della strada made in Salvini non garantisce più sicurezza (e ci allontana dall'Ue)

Giovanni Battistuzzi

Nelle nuove norme il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha inserito solamente interventi copertina, buoni per far parlare di sicurezza senza agire in alcun modo per incrementarla. Anzi: dalle norme contro le "zone 30" alle regole anti autovelox

In questi giorni sono tante le proteste e le manifestazioni di associazioni di ciclisti e pedoni nei confronti delle modifiche al Codice della strada arrivate oggi alla Camera. Il motivo di queste proteste riguarda essenzialmente un punto: le nuove norme non migliorano la sicurezza stradale, anzi. L'Italia imbocca una direzione opposta a quella intrapresa da quasi tutti i paesi europei negli ultimi anni. Nemmeno l'ungherese euroscettico Viktor Orbán si è spinto così in là: al contrario, l'Ungheria sta lavorando per migliorare davvero la sicurezza stradale seguendo le indicazioni di Bruxelles. 

Ma partiamo dall'inizio per capire il motivo, fondato, dello scetticismo nei confronti delle modifiche al Codice della strada.

Il 17 maggio 2018 la Commissione europea aveva inviato al Parlamento europeo un quadro strategico, chiamato “Europa in movimento”. L’intento, parecchio ambizioso, va detto, era quello di ridurre a zero il numero di morti sulle strade europee entro il 2030. Il 6 ottobre 2021 il Parlamento europeo aveva inviato ai paesi membri le linee guida per raggiungere questo obiettivo. L’Italia ha dato il via libera alla realizzazione del “Piano nazionale sicurezza stradale 2030” il 14 aprile 2022, finanziandolo con 16,146 miliardi di euro. Di questo piano non c’è quasi traccia nelle nuove regole.

All’interno del nuovo testo il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha inserito solamente interventi copertina, buoni per far parlare di sicurezza stradale senza agire in alcun modo per incrementare la sicurezza stradale.

C’è un inasprimento delle sanzioni contro chi guida con lo smartphone in mano, contro chi lo fa sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o in stato di ebbrezza (pene che possono arrivare anche all'"ergastolo della patente" per la reiterazione della guida sotto effetto di droghe o se si commettono reati come l'omissione di soccorso o la fuga dopo aver commesso un incidente grave).

Le linee guida europee però sottolineavano l’esigenza di intervenire nella riduzione della velocità massima su strade extraurbane e urbane, essendo proprio la velocità troppo elevata la prima causa di incidenti mortali (seconda concausa di incidenti dietro la distrazione, ma prima causa di morte). In Italia su strade urbane si verificano il 75 per cento degli incidenti mortali.

Nelle nuove regole del Codice della strada però non ci sono interventi per cercare di ridurre la velocità nelle zone urbane. Da una parte è vero che aumenteranno i punti sottratti dalla patente per il superamento dei limiti di velocità (tra i 10 e i 40 chilometri orari) oltre a quelli per il passaggio con il semaforo con il rosso; le inversioni di marcia dove vietato; la circolazione contromano e le infrazioni sulle autostrade. Tuttavia sarà più difficile rilevare queste contravvenzioni visto che dal ministero diretto da Salvini sono arrivate limitazioni all'autonomia delle amministrazioni locali nell’installazione di dispositivi per la rilevazione della velocità. Gli autovelox saranno infatti vietati sotto i 50 all'ora in città, nelle strade urbane e nelle strade extraurbane sotto i 90 all'ora.

Non sono le uniche limitazioni che il ministero impone. Le amministrazioni locali dovranno giustificare, caso per caso, la decisione di introdurre limiti inferiori ai 50 chilometri orari in aree urbane. Avranno meno libertà nella realizzazione di corsie ciclabili, di spazi riservati ai ciclisti in corrispondenza degli incroci, nell’introduzione del controsenso ciclabile, e nell’estensione delle zone a traffico limitato o pedonale. Insomma, le nuove norme creeranno un surplus di burocrazia per le amministrazioni e si sa che in Italia il miglior modo per azzerare qualsiasi cambiamento possibile è farcirlo di carte bollate. Nel nostro paese ci sono quasi ottomila comuni e imporre per legge l’obbligo della richiesta dell'autorizzazione centrale vuol dire imporre l'intasamento del sistema e, di fatto, rendere oltremodo complicato fare in modo di cambiare lo status quo. Ciò allontana la possibilità per i sindaci di far evolvere i centri urbani in città 30, ossia di introdurre un sistema di diminuzione della velocità diffusa in tutte quelle strade a non elevato scorrimento (quindi quelle all'interno dei quartieri, di solito nelle zone a più alta densità abitativa), e di creare le cosiddette Fahrradstraße, ossia quelle strade nelle quali sono le biciclette ad avere la precedenza sulle automobili (solitamente poste parallele a strade ad alto scorrimento veicolare).

Salvini ha detto più volte che all'interno delle nuove regole ci sarebbe stata una maggiore attenzione ai ciclisti. E almeno formalmente il ministro ha rispettato la sua promessa. Perché è vero che verrà introdotto l'obbligo per gli automobilisti di concedere, in fase di sorpasso, una distanza di almeno un metro e mezzo fra auto e bici. Ed è vero che è prevista l'introduzione di una "zona di attestamento ciclabile", ossia una linea di arresto per le bici più avanzata rispetto a quella delle auto, per avere più visibilità e sicurezza, e agevolare così la svolta a destra. Il problema è però che tutte queste "novità", hanno un cavillo: nel primo caso "fermo restando, ove le condizioni della strada lo consentano", nel secondo solo "nelle strade a una corsia di marcia e con una ciclabile di fianco".

Un contentino che non migliora la situazione. Anzi. Il problema sono le altre modifiche.

Per le amministrazioni locali sarà più difficile anche introdurre i doppi sensi ciclabili – ossia dare la possibilità alle biciclette di circolare nella direzione opposta alle auto –, che sono una delle vie utilizzate dalle amministrazioni europee, per giunta tra le più sicure, per abbassare la velocità media nei centri urbani e aumentare di conseguenza l'attenzione di chi è alla guida di un'automobile: è stata infatti eliminata la clausola europea che concede di realizzarli "indipendentemente da larghezza della carreggiata, presenza di parcheggi, massa dei veicoli".

Inoltre il nuovo Codice della strada impone che la realizzazione di nuove corsie ciclabili sarà consentita solo lungo le strade in cui è impossibile costruire una pista ciclabile in sede protetta. E la decisione non verrà presa dopo la valutazione di un tecnico o dal comune, ma dal ministero.

Secondo l'urbanista Herbert Hepp, uno dei tecnici che hanno collaborato allo studio che poi ha portato alla realizzazione del quadro strategico “Europa in movimento” della Commissione europea, "questa è la più assurda scelta presa dal ministero. Perché tutti gli studi sulla mobilità urbana hanno chiarito come l'utilizzo delle bike line interne alla carreggiata aumentino la sicurezza per tutti, automobilisti e ciclisti, rispetto alla scelta di creare piste ciclabili in sede protetta. Sono anche meno costose e più facili da realizzare. Soprattutto, permettono la prossimità e quindi la reciproca conoscenza tra chi guida un'automobile e chi pedala. E solo la prossimità, oltre ovviamente alla riduzione del numero di veicoli sulle strade, garantisce un aumento della sicurezza stradale e quindi la diminuzione delle morti sulle strade".

Quella di Matteo Salvini è un’inversione a U a grande velocità nella strada che ci avvicina all’Europa. In un paese che vede morire 53 persone ogni milione di abitanti, uno dei dati peggiori nell’Ue.