Serve una contro-università

Come far rivivere la cultura soffocata da burocrazia e pensiero unico

La saggistica critica, perfino apocalittica, sullo stato dell’università americana è un genere vasto e assai articolato: c’è chi lamenta l’inflazione del titolo di studio, chi la scomparsa delle facoltà umanistiche, chi denuncia il colossale debito accumulato per i prestiti d’onore, la crescita esponenziale delle rette, l’omogeneità ideologica, l’abbassamento del livello scientifico, l’investimento su dettagli inutili, l’erosione della libertà di parola nei campus, l’incancrenimento delle burocrazie, le fragili sensibilità sempre più protette degli studenti, l’applicazione iniqua delle quote di ammissione per le minoranze etniche, la preoccupante situazione in fatto di abusi sessuali, il preoccupante trend di ingiustizie commesse nel tentativo di punire gli abusi sessuali, e molto altro.

 

Associazioni come Fire, National Association of Scholars e Heterodox Academy hanno fatto nascere cordate organizzate di professori disallineati, Peter Thiel dà soldi a chi abbandona l’università e mette a frutto il suo talento altrove, Michael Bloomberg dice da tempo che conviene fare gli idraulici. I più taglienti fra i critici mettono insieme tutte queste cose in un unico, stratificato argomento polemico, ed ecco che appare il volto angoloso di Jordan Peterson, monumentale fustigatore dei costumi universitari correnti e approdo naturale per molti apolidi del pensiero unico. Il difetto della maggior parte di queste critiche è che non offrono indizi per un percorso alternativo. L’università non produce sapere, non aumenta la capacità di pensare criticamente a idee complesse, è costosa e non s’affaccia sull’ascensore sociale, ma che si fa?

 

Il libro The University We Need, scritto da Warren Treadgold, ha l’audacia di offrire una soluzione concreta che non si riduca al solito proposito (fasullo) di accogliere più punti di vista e tendenze ideologiche differenti in un ambiente altrimenti dominato da un consenso pressoché totale. Treadgold propone di costruire una nuova università. Non un’altra università di segno conservatore all’interno di un panorama generalmente dominato dal progressismo – istituzioni di questo genere formano già un sottobosco, minoritario ma presente – ma un’università che gioca secondo regole e priorità diverse, che mette la qualità della ricerca accademica al di sopra della logica del mercato del lavoro, che scoraggia le domande degli studenti che non sono portati per lo studio, che non regala borse di studio agli atleti e non attira iscritti costruendo palestre, piscine e palazzetti per concerti. L’autore, professore di storia bizantina laureato ad Harvard poco incline ai bizantinismi quando si muove al di fuori della sua disciplina, ha individuato un luogo preciso dove dovrebbe sorgere questa contro-università – nella periferia di Washington, vicino al centro del potere e non isolato come lo sono molti campus americani – ha idee chiare e distinte su come dovrebbe essere disegnata la mappa del campus, sulla dislocazione delle caffetterie, sulla grandezza delle aule, sui servizi da includere e quelli da omettere all’interno del perimetro universitario; ma soprattutto ha idee concrete per restaurare lo scopo originario dell’istituzione. L’università, scrive Treadgold, deve dotarsi di un meccanismo per scoraggiare l’iscrizione di troppi studenti a master e dottorati, deve creare un organo a livello nazionale che giudichi le tesi sulla qualità del lavoro accademico, mettere un tetto ai fondi per le attività amministrative, distruggere i meccanismi di valutazione degli insegnati da parte degli studenti – che danno voti alti ai professori con cui è più facile passare gli esami – negare le borse di studio a chi mostra di non essere portato per l’istruzione universitaria e mettere in piedi altre strategie simili per far sì che l’università torni ad essere un luogo di formazione del pensiero critico e di trasmissione del sapere. Questa è l’università di cui c’è bisogno.

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