Rand Paul non ha nessuna chance, ma è il candidato perfetto per il vuoto di quest'epoca illeggibile

Le probabilità di vittoria di Rand Paul alle prossime elezioni sono vicine allo zero, ma di rado i candidati di rottura, votati alla decostruzione più che all’edificazione di un sistema, si muovono nell’orizzonte della vittoria alle urne. L’obiettivo, piuttosto, è consolidare una nicchia ideologica al punto da rendersi rilevanti in un dibattito condotto sempre dai banchi dell’opposizione. Il potere squalifica le ambizioni anarcoidi, deprime gli impeti rivoluzionari, e il senatore del Kentucky è abbastanza navigato e accorto per sapere tutte queste cose.

 

Chi giudica la sua performance politica con il metro improprio della conta dei voti commette un errore di prospettiva. Paul aspira alla legittimazione della sua tribù paralibertaria, non all’assalto della Casa Bianca. Da qui i dilemmi di cui tutti gli osservatori politici di Washington parlano da mesi, che poi sono i dilemmi eterni di tutte le forze alternative: annacquare il messaggio o purificarlo? Compiacere o galvanizzare? Allargare la piattaforma o stringere lo zoom ideologico? Si vedrà. Intanto Paul ha presentato a Louisville la sua candidatura e nel discorso ha chiarito che intende raccogliere i frutti della semina degli ultimi due anni, e sono frutti essenzialmente generazionali. Vuole il voto dei giovani, della “Facebook generation”, come la chiama lui con espressione discutibile eppure non peregrina (il social network non ha forse introdotto il cambiamento più rilevante nei modi di vita degli ultimi quindici anni?) vuole l’attaccamento dei millenial ideology free che nel 2016 costituiranno il 36 per cento dell’elettorato. Non avendo picchetti ideologici a cui aggrapparsi per spiegare il mondo, il millennial ripiegano su ciò che appare indubitabile, l’individuo, con le sue specificità, i suoi diritti, il suo bisogno di essere e sentirsi speciale, unico. Quando Rand dice che “non hanno paura della libertà individuale” e li invita a liberarsi dalle catene dello stato – catene mentali, culturali, fiscali, legali – quelli della Facebook generation si sentono speciali e unici. I numeri non rilevano spostamenti di massa dei millennial nelle file libertarie, ma è parte del gioco. Quello di Paul è un messaggio troppo vago per mobilitare eserciti, ma perfettamente adeguato all’“età illegibile” in cui viviamo, come l’ha definita Mark Lilla in un saggio fondamentale per inquadrare la fascinazione per il pensiero libertario che pervade anche chi non voterà mai Paul. Questa età è illeggibile, sostiene Lilla, perché c’è stato un vuoto di riflessione dopo la fine della Guerra fredda, quando un sistema ideologico è crollato e un altro si è trovato un po’ smarrito dall’improvvisa assenza dell’avversario che era diventato la sua ragion d’essere. L’occidente si è detto “la storia è finita, andiamo avanti” ma più avanti non ha trovato materiali utili per ristrutturare il suo edificio ideologico. In questo vuoto, il singolo, nella sua espressione creativa e irripetibile, senza sovrastrutture, è sembrato un’alternativa credibile per questo tempo illeggibile. E’ in questo spazio indefinito che si muove Rand Paul.

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