Il Foglio Weekend

Nostra signora delle spiagge. L'estate infinita di Daniela Santanchè

Michele Masneri

Da Cuneo al Twiga, passando per Villa Certosa, Daniela Santanchè, la ministra balneare, è “tranquilla e resiliente”

Insomma mercoledì si saprà, mercoledì, nell’afa romana, si saprà se Daniela Santanchè è degna o no di rimanere ministra, dopo la puntata di Report che l’accusa principalmente d’essersi intascata i contributi Covid, di aver fatto fallire la sua società di prodotti biologici Ki Group, di non pagare i collaboratori della sua Visibilia…

 

Mercoledì il Parlamento la interrogherà. Ma che importa, dopo c’è il weekend, e le ferie sono vicine. “L’Italia è il paese delle ferie”, ha detto l’altro giorno Arrigo Cipriani, definitivo. E chissà cosa farà Giorgia Meloni, se se la terrà, la sua ministra, la ministra più balneare che ci sia mai stata. Se c’è un personaggio che incarna l’Italia vacanziera di questi anni è lei, Danielona. Fotografata quasi esclusivamente su battigie, con cappelloni texani e occhialoni, va detto che ha anticipato qualunque influencer, lei era già coatta e in posa sulla spiaggia quando Chiara Ferragni era ancora all’asilo. E’ resiliente, Danielona. Proprio così. “Sono resiliente”, ha detto, e anche “sono tranquilla”, la settimana scorsa, da Capri (come te sbagli). “Perché mio padre mi diceva due cose: se non fai male non aver paura e se non rubi non ti devi nascondere. Sono solo preoccupata per mio figlio che soffre. Per il resto sono molto resiliente”, ha detto, durante la rassegna “Capri d’Autore”. 

 

Il mare non bagna Cuneo. Il papà era Ottavio Garnero, camionista che fece fortuna col matrimonio sposando la abbiente Delfina, poi mise su un’azienda trasporti, fu asso del biliardo, poi presidente del Cuneo Calcio, lo racconta lei nella fondamentale biografia “Sono una donna, sono la Santa”. Però, oggi, camminando sui tombini di Capri, con la scritta scolpita “Pomicino”, celebre fonderia napoletana, riecheggiano le parole dell’ex ministro, e suo mentore, Paolo Cirino. “Non conosce vergogna” ha detto in una feroce intervista a Repubblica. “Nun se mett’ scuorn”, confermano a Capri, “lei è così, che gliene frega”, resiliente, appunto. Fin dagli inizi. Ne ha fatte più di Carlo in Francia, la Danielona. 

 

Possibilmente pieds dans l’eau. Chissà se a Capri alloggiava sul “Force Blue”, avvistato in rada a Marina Piccola, lo yacht dell’ex sodale Flavio Briatore e ora sequestrato, chissà adesso che bandiera batte, in che acque navigano, lei e la barca. “Non appassionata di politica ma di potere”, ha detto Pomicino a Report. “E’ il mio fallimento. Uno può anche non sapere niente, ma studiare. Lei non studia”. Lui tra le tante cose l’ha introdotta a Berlusconi, ovviamente in Sardegna. “A villa Certosa, le ho fatto una presentazione di qualità”, qualunque cosa voglia dire. Ma in Sardegna Danielona allignava già da tempo, socia del “Billionaire” di Briatore e prima a bordo del “Bisturi”, raccontano al Foglio. Yacht dell’ex marito eponimo, ed evidentemente spiritoso, Paolo Santanchè, di cui lei si è tenuta il cognome. Il dottor Paolo Santanchè si autodefinisce appunto “un bisturi al servizio della bellezza”, sul sito del suo studio. “Figlio di un ginecologo, decise fin da piccolo che sarebbe diventato medico. Rifuggendo dai dogmi delle scuole ufficiali, alla ricerca del perfezionamento di quella creatività che da sempre contraddistingue il suo lavoro”. “Ci siamo conosciuti quando lei venne da me per rifarsi il naso” ha detto il perfezionista. “Aveva 21 anni. Continuare a portare il mio nome è stata una concessione fatta in sede di divorzio”. 

 

Divorzio rimasto negli annali. Difesa dall’amica Annamaria Bernardini De Pace, al Foglio raccontano che in aula Danielona superò pure la leggendaria avvocatessa, con una arringa che ha fatto scuola. Si presentò con un vistoso pancione, e chiese al giudice di poter rimanere nella casa coniugale (del marito chirurgo) in quanto incinta. Solo che il figlio, che stava per nascere, era quello che avrebbe poi avuto dal nuovo compagno Canio Mazzaro (accento sulla prima a). “Ma non è mio!”, disse il povero chirurgo. E lei, tipo Joan Collins in Dynasty: “E come fai a saperlo?”.

 

Altro che utero in affitto. Qui siamo alla multiproprietà. Il giudice le diede ragione, e per la prima volta nella giurisprudenza una divorzianda ottenne l’abitazione per un figlio di un marito prossimo. Canio Mazzaro, da cui poi ha avuto Lorenzo, il figlio di cui teme i traumi in questi giorni, è l’imprenditore che con lei ha rilevato a un certo punto il “Ki Group”, azienda di distribuzione di prodotti biologici, ai tempi florida, che loro – è l’accusa – spolparono, elargendosi stipendi bestiali, sperperando milioni in auto e appartamenti, installando pure Cirino Pomicino nel cda (Cirino pomicino che fa il biologico è un’immagine molto da commedia all’italiana). Ma il vero great italian novel è quello delle famigliole di sinistra che vanno a comprare il farro e lo zenzero organico pensando di contribuire alla salvezza loro e del pianeta, e invece senza saperlo stanno mantenendo Danielona pitonata in giro per le spiagge. Già, le spiagge. Danielona è uscita dal Twiga, una delle sue imprese più celebri. Prima di diventare ministra ha venduto la sua quota al compagno, e qui altra commedia, il Ridge de noantri Dimitri Kunz d’Asburgo Lorena più altri 11 cognomi (neanche Daniela “del Secco d’Aragona”, la marchesa-estetista, aveva osato tanto in tema di fantascienza araldica). A Report si scopre che il padre si chiamava solo Kunz e di professione faceva l’agricoltore, ma decise chissà per quale oscuro disegno di dare quella sfilza di nomi e cognomi al rampollo: Dimitri Miesko Leopoldo Kunz D’Asburgo-Lorena Piast Bielitz Bielice Belluno Spalla Rasponi Spinelli Romano (!). Pare che a San Marino, dove il principe ha avuto i natali, nessuno controlla, e ognuno può chiamarsi come vuole. 

 

Lui, a quel punto, il rampollo, già che c’è negli anni si aggiunge anche “principe” sulla carta di identità, e all’anagrafe italiana – nonostante i titoli nobiliari non siano riconosciuti dallo stato – glieli convalidano pure. Ma dove vogliamo andare? Altro che Mes. Vabbè, chiusa parentesi. Il Twiga è il principato della imperial coppia Santanchè d’Asburgo. Al Forte – ci andiamo – il Twiga è stato la rivoluzione. 

 

Il Twiga ha aperto il solco nella sonnolenta località che viveva ancora di memorie agnellesche-vanziniane: musica lounge di sottofondo, tende bianche e crema. “La piscina sembra di mosaico ma non lo è, è di una speciale plastica stampata 3D che imita il mosaico”, mi raccontò anni fa Alice Maffezzoli, la responsabile, aveva vinto “The Apprentice”, il talent di Briatore, poi era stata assunta al Twiga di Montecarlo e infine al Forte e chissà che fa oggi. “La tenda, quattro metri per quattro, costa quattrocento euro al giorno”, disse, “ma se la prendi per tutta la stagione viene sedicimila”; e chissà oggi sarà triplicata come tutto (i rincari italiani la Bce se la mangiano a colazione). Nelle occasioni speciali, mi raccontano, la sera, ci sono oggi delle giraffe vere, i clienti che pagano il sovrapprezzo vengono trasportati a mano su speciali lettighe trimalcioniche, e si dà il via agli sciabolamenti dello champagne. Twiga è “The gateway for summer”, dice il sito, ed era meglio di “Welcome to meraviglia”, il claim su cui pure pare abbian fatto impicci, e non si sa perché non hanno usato invece il gateway che andava benissimo. 

 

“Il Twiga non è Forte dei Marmi”, mi dice indignato un purista. Ma è inutile. “Il Twiga è in comune di Pietrasanta”, protesta, vabbè. Il Forte, ormai, è pitonizzato, accettiamolo. Non ci sono più i russi, si dirà. Ma son stati sostituiti dai bresciani e dagli influencer. Tatuaggi ovunque, polpaccioni istoriati, un tempo al Forte c’erano gli Agnelli, oggi ha vinto la Santanchè. Vestivamo alla pitonessa. Ci sono i bagni classici, il Piero, l’Annetta, ma sono residuali. Tutto è pitonizzato. Al Gilda ecco gran coscioni tatuati, borsette da uomo, profumi di quelli che ti frizzano le sinapsi, uomini tutti uguali a Fedez, donne-kardashian di Busto Arsizio; discorsi da Citylife, “ho chiuso il mio fondo a Dubai”. Baby sitter in tre lingue, accenti della deep provincia, accanto, un signore di mezza età a cui tutti vanno a chiedere di farsi un video. Mi informo. E’ un influencer anziano, famoso per recitare le frasi “Vai a letto! Vai a letto!”, a un ragazzo che sarà il figlio. Milioni di visualizzazioni su TikTok. Ora sta girando un video con un tamarro mostruoso in cui si tirano in testa a vicenda cestelli d’acqua ghiacciata. Gli astanti sono deliziati. Insomma, dai, hanno vinto loro, quelli col cappello da cowboy. E qui non si pretende il cappotto in spiaggia di Aldo Moro; però una via di mezzo mai in questo paese…

 

Un aficionado del Twiga è Francesco Alberoni. Lo vidi pure io, carbonizzato, simpatico, anni fa, il leggendario sociologo, tra quelle tende. Ora pare che sia un personaggio centrale nella vita e nell’opera della premier Giorgia Meloni, pervenuto tramite Danielona. Sì perché Danielona è molto, molto vicina a Meloni. La first bambina Ginevra la chiama “zia Daniela”, scrivono Paolo Madron e Luigi Bisignani in “I potenti ai tempi di Giorgia” (edizioni ChiareLettere). Insomma Alberoni, sociologo di lungo corso, le dà un sacco di consigli, su WhatsApp, ovviamente, ché Giorgia non ha certo tempo di mettersi sul lettino (né da spiaggia né da psicanalista), oltre a dare dritte sul look anche al cognato Lollobrigida, che le segue pedissequamente soprattutto sul taglio di capelli. Tramite Danielona, anche “il dottor Giambruno”, il compagno di Giorgia, giornalista Mediaset, va spesso al Forte. “Dimitri e Andrea fanno coppia fissa, viaggiando in Porsche Carrera alla ricerca di pulloverini di cachemire”. Insomma, ditemi voi se non è l’immagine dell’estate 2023. Il principe-sòla col first gentleman alla ricerca di cachemerini sull’Aurelia. Un “Sorpasso” aristo-pitonato.  

 

Al Twiga un piatto di spaghetti alle vongole viene 30 euro, manco tanto, dai, se vale a tenere alta la tradizione. Ricordiamo tutti infatti l’alto monito della ministra contro le temute multinazionali che potrebbero papparsi i nostri italici stabilimenti: “Consegnarli a delle multinazionali ci toglierebbe le nostre peculiarità, come un certo tipo di cibo, un certo tipo di accoglienza. Pensate se non potessimo più mangiare i nostri spaghetti alle vongole o la nostra parmigiana di melanzane, cose che fanno parte della nostra identità”. 

 

Le spiaggie sono la sua ossessione identitaria. Mai libere. Mai prive di tendaggi. Quelle libere “sono piene di tossicodipendenti, rifiuti. Nessuno pensa a tenerle in ordine”. Nel 1983, quando i Righeira cantano “Vamos a la playa” lei comincia a lavorare. Fonda la Dani Comunicazione e poi una serie di società sempre un po’ sgangherate tra cui la Visibilia, che stampa riviste anche “igonighe”, da Novella Duemila a Ville e Giardini, a Ciak. I collaboratori non vengono quasi mai pagati, raccontano al Foglio, ma in fondo “la carta stampata è finita”, come dice il principe Kunz. E poi va detto che se dovessero processare tutti i giornali che non pagano le fatture, sarebbe una nuova Mani Pulite. 

 

Comunque il Forte rimane il principato della Danielona e di Kunz (da non confondere con Kurt Sucker, vero nome di Curzio Malaparte, gran frequentatore del Forte). Qui si è consumata la storia – davvero da film tipo “Abbronzatissimi” – della doppia coppia: lei era fidanzata con Alessandro Sallusti, e la sua amica Patrizia Groppelli sposata col bel (finto) principe. A un certo punto, non si sa che è successo, le coppie sono scoppiate. E poi si sono ricomposte: Sallusti ha sposato Groppelli (ovviamente in spiaggia, ma a Lerici, più sobriamente), e Danielona ha il suo principe. Vissero tutti felici e contenti, e resilienti. “Sono resiliente”, continua a dire lei. “Non vedo l’ora di parlare, mercoledì”. Intorno a lei, son tutti fiduciosi. Dicono che la procura non ha in mano niente di serio, sennò non aspetterebbe. Lei comunque non tiene scuorno. 

 

L’estate di Danielona passa anche per le copertine di Fausto Papetti, vi ricordate quegli Lp su sfondi di spiagge tropicali col sax malandrino… e vi sovviene la nuova assessora alla Cultura lombarda, avvocatessa Francesca Caruso? Mai sentita nominare se non per la notevole dichiarazione: “nella mia famiglia si respira cultura da sempre. Il fratello di mia nonna era Fausto Papetti”. Già qui, bisognerebbe opzionarle i diritti. Ma – raccontano a Milano – dietro alla nomina di Caruso pare ci sia sempre lei, Danielona. Una specie di cerchio che si chiude, dai dischi di Papetti che i camionisti tenevano in cabina alla spiaggia del potere. Tanti si erano sorpresi della nomina di Caruso, una sconosciuta sia in campo politico sia in campo culturale. Dai capataz di Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia l’assessorato lombardo era stato sino all’ultimo promesso al filosofo Stefano Zecchi o all’esperta Melania Rizzoli. Entrambi aspettavano la fatale telefonata di riconferma, e invece no, nello stupore generale salta fuori la bionda avvocatessa dello studio La Russa (con la cui dinastia Danielona è da sempre intima). L’avvocata è laureata presso la decentrata facoltà Carlo Cattaneo di Castellanza. L’unica esperienza politica era stata la carica di assessora alla Sicurezza, Polizia locale e Protezione civile a Gallarate (!).

 

“Mia nonna era la sorella di Fausto Papetti” è stato appunto lo statement di Caruso. Le voci dicono che Santanchè, responsabile per Forza Italia delle nomine degli assessori lombardi, dovesse sdebitarsi con l’avvocatessa prestatale da La Russa per risolvere qualche piccolo problema relativo alla candidatura alle Politiche. Poiché la sua concessionaria Visibilia doveva un milione e mezzo al fisco, ed era stata avviata un’istanza di fallimento con fascicolo d’indagine aperto per bancarotta e falso in bilancio, urgeva risolvere la questione. Altrimenti la nostra neo-ministra al Turismo non avrebbe potuto candidarsi. Ma l’abile avvocata Francesca Caruso avrebbe risolto il problema trovando un finanziatore che avrebbe versato 2 milioni e mezzo nelle disastrate società… Mentre Caruso, timida e restia alle apparizioni pubbliche (a differenza dell’antenato sassofonista) oggi non è per niente contenta, voleva qualcosa di più inerente al suo curriculum…

 

Ma che volete, è estate. Intanto dicono che aprirà presto un Twiga a Roma. Anche se non c’è la spiaggia. Dovrebbe installarsi su a via Veneto, quella che Ennio Flaiano del resto considerava una strada balneare, dove secondo il padre della “Dolce vita” mancavano soltanto gli ombrelloni: e dunque perché non un beach club? Tanto ormai vale tutto, una spiaggia a Roma, perchè no? Non lontano da “Crazy pizza”, dove i pizzaioli-stuntmen di Briatore roteano come tourneur-dervisci le pizze per la gioia dei turisti e non solo. L’Italia è un paese fondato sulle ferie. 

 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).