Il mese scorso ha aperto a Bruxelles la “Casa della storia europea”, il museo ufficiale della Ue. Costato 56 milioni di euro, è costruito come se la cultura cristiana non esistesse

Nella “Casa della storia europea” i cristiani non esistono

Giulio Meotti

Dopo la Costituzione, le monete e la bandiera, ora anche il museo ufficiale dell’Unione europea ignora il cristianesimo

"Bruxelles è una città indolente e irritabile con alcuni degli edifici pubblici più brutti a ovest di Varsavia", aveva dichiarato nel 1999 il corrispondente a Bruxelles del settimanale inglese Economist. Con ventisette edifici e più di un milione di metri quadrati suddivisi tra Bruxelles, Strasburgo e il Lussemburgo, dove lavorano 39.715 persone, il Parlamento europeo sta compiendo investimenti senza precedenti negli ultimi anni. L’Unione europea, scampata alla grande ondata populista e rinvigorita dalla vittoria elettorale di leader che hanno impugnato la bandiera blu, è adesso impegnata in una vasta opera di edificazione del proprio culto. A Bruxelles, la Ue possiede già sedici edifici, con più di 610 mila metri quadrati di spazio. E’ in trattativa con lo stato belga per acquisire la prestigiosa biblioteca Solvay di Art Nouveau al Leopold Park di Bruxelles e trasformarla in una biblioteca parlamentare europea. Prima ha aperto il “Parlamentarium”, il centro visitatori parlamentare più grande d’Europa e il secondo al mondo dopo quello di Capitol Hill a Washington, costato ventuno milioni di euro. “Per un viaggio eccezionale nel cuore dell’Europa”, aveva detto nel presentarlo il presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek. Il visitatore è atteso al negozio di merchandising, dove si possono acquistare le borse con scritto “I love Europe” e i pupazzetti a forma di statisti. Poi il Parlamento Europeo ha programmato la creazione di una “Casa dei cittadini”, per il valore di due milioni di euro, una sorta di sala da tè per “discutere con i cittadini europei” e dove i parlamentari potranno incontrare i membri della società civile. “E’ per i cocktail”, ha detto un ufficiale del Parlamento europeo in forma anonima al sito Politico Europe. E, nell’anno in cui si festeggia il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, l’Unione europea ha inaugurato una nuova “casa” per raccontare la propria storia ai cittadini.

 

Ha aperto il mese scorso a Bruxelles la “House of the European History” (Casa della storia europea), che avrà lo scopo di “stimolare la curiosità di turisti e studenti, studiosi e appassionat“i”, al modico costo di 56 milioni di euro. L’ambizione del Parlamento europeo di creare una narrativa storica del Dopoguerra costruita attorno al messaggio pro-Ue di pace e di unificazione è però una preoccupazione per alcuni storici. Patrick Pasture, professore di storia europea presso l’Università Cattolica di Lovanio, ha parlato di “futile sforzo”. I tabloidi inglesi pro Brexit lo definiscono invece “progetto di vanità” e uno “spreco offensivo di denaro”.

 

Come ha scritto Arnold Huijgen, col museo di Bruxelles siamo passati dal secolarismo alla cancellazione delle radici cristiane

Il Parlamento europeo ha stanziato 31 milioni di euro per rinnovare il palazzo Eastman, un ex istituto dentistico, e oltre 21 milioni di euro per realizzare l’esposizione permanente. L’edificio è bellissimo, un esempio di Art Deco a Bruxelles, costruito nei primi anni Trenta dall’architetto svizzero Michel Polak e finanziato da George Eastman (fondatore della società Kodak), per un totale di quattromila metri quadrati. A dirigere i lavori un comitato scientifico, presieduto dallo storico polacco Włodzimierz Borodziej (specialista in relazioni polacco-tedesco). Una ventina di oggetti testimoniano la Seconda guerra mondiale e sono stati recuperati dai siti di esecuzione di massa degli ebrei da parte dei nazisti in Ucraina. Non si parla delle ragioni, negli anni Trenta, che portarono le democrazie parlamentari a essere ribaltate in regimi totalitari e in dittature. “Forse il compito era impossibile, la storia troppo complessa, le divisioni tra gli europei troppo profonde per uscire dalla camicia di forza del politicamente corretto” commenta il quotidiano francese Le Monde.

 

Scintillante fuori, la “casa comune europea” è però culturalmente vuota dentro. Il museo ufficiale della storia europea ha rescisso completamente le radici giudaico-cristiane su cui è fondata. Il primo piano del nuovo ambizioso edificio è dedicato al cibo, alle bevande, alla moda, a tutti quegli esempi di eccellenze europee che oggi esportiamo nel mondo. La storia europea si presenta la secondo piano. Inizia nel 1848, senza cenni al debito verso il diritto di Roma e la filosofia e la democrazia della Grecia. La nascita della borghesia moderna è riassunta da una serie di ritratti del pittore belga Gustave Vanaise (1854-1902), quella della classe operaia da un bellissimo trittico di Alexandre-Louis Martin (1887-1954), mentre una pistola Browning, identica a quella utilizzata per assassinare l’arciduca Franz Ferdinand nel 1914 a Sarajevo, sta lì a spiegare la sequenza di eventi che ha portato alla Prima guerra mondiale.

 

La Francia rivoluzionaria è considerata l’origine dell’Europa, assieme al codice napoleonico, a Karl Marx, mentre schiavitù e colonialismo sono enfatizzati come risvolti oscuri della storia comune. Ci sono autentici “pezzi” della storia europea, come le schede di voto sulla Brexit, le bandiere della Guerra fredda come “non c’è Europa libera senza libertà dei paesi baltici”, le maschere antigas della Prima guerra mondiale, copie dei giornali dopo il crollo del mercato azionario nel 1929, il “Mein Kampf” di Adolf Hitler, un maglione crivellato dai proiettili di una vittima della repressione durante la rivoluzione rumena del 1989, e poi i volti di Schuman, Monnet, De Gasperi, Adenauer, i padri dell’unione. L’ultimo piano è l’apice del narcisismo della Ue, con una panoramica delle istituzioni comunitarie, Parlamento, Consiglio e Commissione.

 

Ore di religione, crocifissi, croci al collo: nelle scuole della Ue, dalla Spagna alla Francia, spira un vento cristianofobo

Ma la cosa più notevole di questa “Casa” ufficiale, come ha spiegato in un saggio per l’Acton Institute lo studioso olandese Arnold Huijgen, è che è stata costruita come se la religione non esistesse e il cristianesimo non avesse avuto alcun ruolo nella nascita e nell’edificazione dell’Europa. In nessuno dei piani di questa nuova “Casa” c’è una sola citazione della Riforma e del grande divario tra il cattolicesimo romano e il protestantesimo, delle guerre religiose tra le confessioni o della ricerca della libertà di religione che era al centro della rivolta olandese.

 

Non è più il secolarismo europeo che combatte la religione cristiana; adesso ignora semplicemente ogni aspetto religioso nella vita e nella cultura comuni. E non importa se le strutture sociali nei paesi dell’Europa meridionale non possono essere comprese senza il ruolo della chiesa cattolica. Non si parla da nessuna parte della responsabilità dell’individuo, cardine del protestantesimo e principio centrale della cultura europea. Nè che il calvinismo è stato il terreno fertile che ha fatto nascere il capitalismo come Max Weber aveva teorizzato.

 

Nella moderna e secolarizzata ufficiale Europa c’è ormai la tendenza ufficiale a ignorare totalmente la religione. Lo si è visto in tre momenti chiave della costruzione del discorso europeo: la bandiera, le monete e la costituzione. La burocrazia di Bruxelles ha riscritto l’origine della sua stessa bandiera, che risale notoriamente alla Madonna del cattolicesimo. Nella versione ufficiale dell’Unione europea sulla bandiera non c’è traccia del cristianesimo: “La bandiera europea simboleggia l’Unione europea e, più in generale, l’identità e l’unità dell’Europa. Dodici stelle d’oro su sfondo blu. Sono gli ideali dell’unità, della solidarietà e dell’armonia tra i popoli dell’Europa. Il numero di stelle non ha nulla a che vedere con il numero di paesi membri, anche se il cerchio è un simbolo di unità”. La versione ufficiale della Ue sulla bandiera recita: “Le stelle sono dodici in quanto il numero dodici è tradizionalmente simbolo di perfezione, completezza ed unità”. Quanto al significato di quel dodici: “In varie tradizioni, il dodici è un numero simbolico che rappresentata la completezza. Si tratta inoltre ovviamente del numero dei mesi dell’anno e delle ore indicate sul quadrante dell’orologio. Il cerchio è tra l’altro un simbolo di unita?”.

 

Eppure, la scelta della bandiera avvenne tramite un concorso che fu vinto dal disegnatore cattolico francese Arséne Heitz. Il significato della bandiera, spiegherà lo stesso Heitz, riprende un’immagine della devozione alla Madonna propria del dodicesimo capitolo dell’ Apocalisse: “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”. L’origine cattolica della bandiera sarà spiegata anche dal belga Paul Levy, presidente della commisione giudicatrice, un ebreo sensibile al simbolismo biblico. Nella cerimonia di inaugurazione della bandiera, il 13 dicembre 1955, il ministro irlandese che presiedeva il Consiglio d’Europa disse solennemente: “signori, ho l’onore di presentarvi questa bandiera... che sventoli a lungo, liberamente e in pace con la benedizione di Dio”.

 

La versione ufficiale sulla bandiera della Ue ha escluso l'ispirazione cattolica, mentre i santi sono vietati sulle monete

“Oggi c’è un generale sospetto verso qualsiasi religione”, ha dichiarato Gudrun Kugler, direttrice dell’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani, un gruppo di ricerca e di lobbying a Vienna. “E’ una corrente molto forte di secolarismo radicale”. Il dipartimento monetario ed economico della Commissione europea tre anni fa ha persino ordinato alla Slovacchia di ridisegnare le sue monete commemorative eliminando i santi bizantini Cirillo e Metonio dalla versione approvata in origine, evocando la “diversità religiosa” e le lamentele di paesi che avrebbero utilizzato quelle monete.

 

“L’apparato burocratico di Bruxelles non è a proprio agio con la religione”, ha affermato Lucian Leustean, studioso presso l’Aston University in Gran Bretagna e autore di un libro sull’Unione europea e la religione, “Does God matter?”. Poco distante dalla Promenade des Anglais, a Nizza, dove un anno fa un fondamentalista islamico uccise ottantaquattro persone, lì fu inferto il primo colpo all’Unione europea. Era il 2001. I capi di stato e di governo comunitari firmavano il Trattato di Nizza. Era il processo che avrebbe portato l’Europa ad avere una sua Costituzione, scritta e poi accantonata dopo che due referendum l’avevano bocciata. Si approvò la Dichiarazione di Laeken, che a sua volta convocava una Convenzione europea chiamata a studiare e redigere una Costituzione per l’Europa. A presiederla l’ex presidente francese, Valéry Giscard-d’Estaing. Per mesi, la discussione si fermò sul Preambolo, che non prevedeva l’inserimento delle radici giudaico-cristiane dell’Europa. Il documento si limitava a fare riferimento alla “eredità culturale, religiosa e umanistica dell’Europa”. Il Parlamento europeo aveva respinto la proposta avanzata dai parlamentari democratici cristiani e da Papa Giovanni Paolo II di includere nel testo un riferimento alle “radici giudaico-cristiane dell’Europa.” Nella Carta di 75 mila parole non si fa una sola menzione al cristianesimo. Il presidente della Commissione europea Jacques Delors, nel 1990, aveva lanciato un dibattito sull’anima dell’Europa e aveva tenuto incontri informali con la chiesa e con altri leader religiosi. La questione religiosa si è ripresentata con il Trattato di Lisbona del 2007, che ha escluso qualsiasi riferimento al cristianesimo e ha reso omaggio alla “eredità culturale, religiosa e umanistica dell’Europa”.

 

Da allora, un vento di laicismo aggressivo ha pervaso tutte le politiche dei paesi membri della Ue. Il Belgio ha di recente deciso che le ore di religione nelle scuole francofone saranno sostituite da un’ora di “corsi di cittadinanza”, ossia lezioni di laicità. In Francia, il governo socialista ha imposto una “carta della laicità” in ogni scuola, che bandisce il Cristianesimo dal sistema scolastico. La Svezia ha vietato qualsiasi attività religiosa nelle scuole. In una scuola di Valladolid, in Spagna, sono stati rimossi i crocifissi dalle aule per ordine di un giudice. E una scuola pubblica di Berlino ha vietato a una insegnante di religione protestante di indossare una collana con una croce, motivando la decisione con la legge sulla neutralità religiosa in vigore nella capitale tedesca. La cronaca ufficiale della Ue è ormai piena di casi simili.

 

Forse ci voleva davvero un museo dell’Unione europea che sancisse ufficialmente la nascita dell’Europa post-cristiana.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.