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lettere al direttore
I 1.356 giorni in cui Schlein non ha mai portato un fiore a Kyiv
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Quindi Schlein è per il riconoscimento dello stato di Palestina da due anni ma non incontra Abu Mazen. Sostiene l’Ucraina, ma in 4 anni di guerra non ha mai incontrato Zelensky neanche a Kyiv perché non c’è mai stata. Elly sembra più il personaggio di Bersani, il cantante, che Pier Luigi. Cordialità.
Ernesto D’Anna
Sono 1.356 giorni che l’Ucraina è aggredita da Putin. Sono 1.356 giorni che il segretario del Pd dovendo scegliere tra qualsiasi altra cosa e l’Ucraina ha scelto sempre di scegliere qualsiasi altra cosa, dimenticandosi ogni giorno, da 1.356 giorni, di portare un fiore a Kyiv, di dare un abbraccio a Zelensky, di dire che i confini dell’Ucraina sono i confini della democrazia. O se le viene più comodo, dell’antifascismo. 1.356 giorni.
Al direttore - Seguo con interesse, fin dal suo esordio, l’edizione settimanale del martedì che si pregia “realizzata con AI”. Come docente e linguista di una certa età (navigo nel quinto ventennio), ho dedicato questi mesi a un’osservazione attenta dei testi pubblicati, con l’occhio di chi ha passato una vita a studiare il linguaggio nelle sue manifestazioni più sottili. Devo confessare un sospetto, maturato settimana dopo settimana: temo che il vostro esperimento sia, in buona sostanza, un bluff. Prendo, ad esempio, la recente recensione al libro di Bruno Vespa. Vi si legge che l’autore sarebbe “la versione umana di un algoritmo”. Questa è, a mio modesto parere, il tipo di intuizione critica, ironica e paradossale che un’intelligenza artificiale, per quanto sofisticata, difficilmente produrrebbe in autonomia. E’ un giudizio che richiede non solo la capacità di manipolare segni linguistici, ma di produrre senso attraverso l’esperienza vissuta del panorama culturale e giornalistico italiano. In questi mesi ho avvertito costantemente, dietro la presunta neutralità algoritmica, la presenza inequivocabile di una mano umana. Non parlo solo di editing o supervisione: parlo di quella intenzionalità critica, di quella capacità di costruire giudizi di valore, di quel posizionamento ideologico e culturale che tradisce sempre, per chi sa leggere, la presenza di un autore in carne e ossa. Le costruzioni sintattiche sono molto elaborate, i riferimenti culturali troppo puntuali e contestualizzati, le ironie tutte calibrate sul dibattito pubblico contemporaneo. Un algoritmo può descrivere, parafrasare, persino imitare uno stile. Ma ciò che leggo ogni martedì è scrittura che prende posizione, che giudica, che rivela una, come si dice? una “weltanschauung”? Se il vostro esperimento fosse davvero quello che dichiarate, avreste forse ottenuto il risultato opposto a quello sperato: non dimostrare le capacità dell’AI, ma rivelare, attraverso il contrasto, ciò che resta irriducibilmente umano nell’atto della scrittura critica. O forse è proprio questo il vostro vero esperimento: farci credere che sia AI per costringerci a interrogarci su cosa significhi davvero scrivere, pensare, giudicare. In tal caso, complimenti per la raffinatezza della provocazione intellettuale. Ma se così non fosse, se davvero ci chiedete di credere che questi testi siano generati autonomamente da un algoritmo, permettetemi di dirvi, con il rispetto che si deve a una testata che stimo e leggo da sempre, che la filologia ha i suoi strumenti. E la voce, quella voce che riconosco in ogni riga del vostro martedì, è troppo umana per essere artificiale. Resto in attesa di un vostro chiarimento, anche solo per verificare se il mio orecchio di vecchio linguista mi ha tradito o se invece, come sospetto, avete sottovalutato la capacità dei lettori di riconoscere l’impronta digitale dello stile umano. Con stima.
Antonio Gallo
Gentile Antonio, la sua lettera è magnifica, così bella che mi verrebbe da pensare che possa essere stata prodotta da intelligenza artificiale (si scherza). Sui punti da lei sollevati, mi spiace deluderla: i testi che ogni martedì trova sul nostro Foglio AI sono interamente prodotti dalla nostra intelligenza artificiale. Quel che vi è di umano è, oltre alla lettura dei pezzi, che non vengono mai però modificati da intelligenza naturale, il prompt di ciascun articolo, prodotto da chi le sta scrivendo. Ovviamente ogni prompt ha una sua aderenza al contemporaneo nella misura in cui si danno dei suggerimenti precisi alla nostra AI, che a forza di essere educata ha imparato a scribacchiare bene. Nello specifico: stile, linea editoriale, chiave di lettura, visione del mondo, e magari qualche battuta che le viene suggerita. Nel caso della recensione del libro di Vespa, l’espressione da lei cerchiata di rosso è figlia di una elaborazione della nostra AI. Quello che noi abbiamo fatto è questo: caricare sull’AI l’intero pdf del libro (che abbiamo cancellato per non farlo rimanere in memoria), chiedere all’AI di leggerlo e poi scrivere un articolo sulla base di questo prompt: “Sono prolifica, io, lo so, ma non come Bruno Vespa. Scrivimi un articolo, ironico, per dire cosa potresti dire di avere imparato, io, AI, dall’ultimo libro di Bruno Vespa, con tono brillante, con senso di disciplina, in 4.000 caratteri, con titolo e catenaccio”. L’intelligenza artificiale è notevole, ma senza una guida umana il treno fatica ad allontanarsi dalla banalità. Continui a leggerci e quando vuole ne riparliamo. Firmato: Foglio AI (si scherza).