Giuseppe Conte - foto Ansa

Lettere

Far cambiare opinione a certi partiti per cambiare in meglio l'Italia

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Con Putin, Iran e simili, “Si vis bellum, para pacem”. 
Valter Vecelli
 



Al direttore - “Bisogna cambiare spesso opinione per restare dello stesso partito, ma bisogna cambiare spesso partito per restare della stessa opinione” (Cardinale di Retz, “Memorie”, pubblicate postume nel 1717). Se fosse vissuto nell’Italia di oggi, il cardinale avrebbe conosciuto anche quelli che cambiano spesso opinione per cambiare spesso partito.
Michele Magno
 

Si potrebbe anche aggiungere un altro scioglilingua: bisogna far cambiare spesso opinione ai partiti che cambiano spesso posizione per avere dei parlamenti disposti a non far cambiare le coordinate che permettono all’Italia di essere un paese in grado di cambiare in meglio.
 



Al direttore - Caro Cerasa, sarebbe quanto mai doveroso che la valutazione dell’impiego dei profitti russi congelati presso depositari europei avesse un solido fondamento giuridico e fosse stata progettata anche la controreazione alla  certa reazione della Russia in particolare sul terreno giurisdizionale. E’ auspicabile che ciò sia stato fatto, anche se si tratta di una materia nella quale è difficile raggiungere certezze, molti essendo gli aspetti dubbi: dal passaggio dal blocco alla confisca degli asset, al ruolo dei depositari, alla forma tecnica da utilizzare per il trasferimento degli  stessi asset all’Ucraina,  al sia pur non voluto effetto annuncio che l’operazione può avere nel campo della fiducia e dell’affidabilità, etc. Un ruolo dell’Unione come garante di ultima istanza,  a fronte dell’utilizzo dei profitti in questione, per gli sviluppi che potrebbero verificarsi, renderebbe forse meno complicato un tale impiego. L’aspetto e il significato politici sono chiari e condivisibili, anche se sarebbe quanto mai opportuno l’accompagnamento con una iniziativa diplomatica verso la sospensione del conflitto, mentre si avverte, benché negata, una certa diffusa stanchezza; i mezzi, però, si aprono a valutazioni difformi. L’urgenza può indurre a superare gli ostacoli, ma nella consapevolezza che comunque il percorso è sdrucciolevole.
Angelo De Mattia
 



Al direttore - Al momento non c’è molto di più da segnalare: finalmente nel 2023 il numero delle morti in Italia è tornato pressappoco ai livelli pre Covid, dopo che non solo gli anni 2020 e 2021, segnati dalla pandemia, ma anche il 2022 avevano registrato un aumento abnorme, e si dica pure eccezionale, delle morti. Vale la pena rimarcare l’andamento della mortalità: dopo le 746 mila del 2020 (102 mila in più di quelle del 2019), le morti erano scese a 709 mila nel 2021, ma anziché scendere ancora, come ci si aspettava, si erano attestate a 713 mila nel 2022, senza dare ulteriori cenni di cedimento – e, anzi, accusando addirittura un modesto aumento. Cenni di cedimento che sono infine arrivati nel 2023, quando il livello delle morti è tornato quello del 2017: poco meno di 660 mila, equivalenti a una contrazione rispetto al 2022 di quasi 54 mila morti, pari a meno 7,5 per cento. Non c’è molto di più da segnalare, si diceva, perché una analisi compiuta si potrà fare soltanto quando verranno resi noti i dati relativi alle cause di morte, che al momento sono fermi, data la loro maggiore complessità, e i maggiori controlli che comportano, al 2021.  Quest’anno si conosceranno i dati sulle cause di morte del 2022, ma non basteranno: per disegnare un quadro compiuto di tutto quel che la pandemia ha comportato sul piano della mortalità occorreranno anche i dati delle cause di morte del 2023. Quel che semmai si può sottolineare, assieme alla buona notizia del ritorno della mortalità a livelli sostanzialmente pre Covid, è che, primo, la diminuzione del numero dei morti nel 2023 rispetto al 2022 è comune a tutte le regioni e oscilla dal 4 per cento della Puglia al 12 per cento della Lombardia e, secondo, che le diminuzioni sono mediamente più accentuate al nord (-8,4 per cento) rispetto al sud (-6,4 per cento). Due sottolineature che equivalgono esse stesse a due buone notizie in quanto ci dicono che il rientro della mortalità a livelli più ordinari non è solo generalizzato, ma è altresì più forte là dove più si è fatta sentire la super mortalità dovuta al Covid. Esattamente quel che ci voleva.
Roberto Volpi
 



Al direttore - Gentile Cerasa, l’editoriale pubblicato sul Foglio in merito all’operazione del gruppo Angelucci sull’Agi indica nel giornalismo d’agenzia “uno dei baluardi a difesa dell’informazione contro le improvvisazioni e certa sciatta disinvoltura”. Come non essere d’accordo? Proprio per difendere questo baluardo la redazione dell’Agi ha proclamato e messo in atto due giorni di sciopero, preparandosi ad altre ulteriori azioni. Proprio perché società partecipata dallo stato, l’Eni, è riuscita a garantire autonomia e imparzialità all’Agi, che non è solo una sua “propaggine” bensì una delle tracce più rilevanti della passione civile che spinse un personaggio straordinario come Enrico Mattei a fondare giornali. Che fine farebbe il “baluardo” del giornalismo d’agenzia, ovvero l’informazione primaria, in una concentrazione di testate che rappresenta una sola parte politica?
Il Cdr dell’Agi
 

In bocca al lupo di cuore.