Il vero scandalo è fare del giusto processo un processo mediatico

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Due osservazioni rilevanti: la prima, la estrema facilità con cui le notizie (a volte anche non vere o quanto meno parziali) su dichiarazioni delle persone indagate vengono riportate dalla stampa; la seconda, l’assillante ricerca di dichiarazioni che i media (tutti) tentano di strappare (riuscendovi) ai parenti delle vittime e ai presunti testimoni. L’osservazione prescinde dalla posizione “pubblica” che un parente della vittima voglia assumere direttamente e volontariamente. In concreto non intendo riferirmi alla sorella Elena di Giulia Cecchettin.

In ordine alla prima riflessione è importante rilevare che il far filtrare dichiarazioni e notizie su un indagato di reato, in particolare per delitti così eclatanti – in sequenza quando: lo stesso non sia ancora stato arrestato, dopo il suo arresto ma prima ancora che venga estradato in Italia, prima del suo interrogatorio e prima del suo colloquio con il proprio difensore – è prassi scorretta. E’ inaccettabile e vìola i più elementari princìpi costituzionali in tema di presunzione di innocenza e di diritto di difesa.

Non a caso il procuratore della Repubblica di Venezia ha posto in luce la profonda differenza tra show e talk-show e un processo penale e, soprattutto, che un imputato di qualunque reato ha diritto di essere inquisito e giudicato con il pieno rispetto delle regole costituzionali del giusto processo. Ciò significa che è altamente pernicioso che, tramite dichiarazioni e interviste, si anticipi nella pubblica opinione una versione dei fatti e una descrizione della personalità dell’indagato prima ancora che ci sia stato un contatto con il difensore e con un magistrato. Ciò determina o può determinare un duplice effetto nocivo per l’imparzialità dell’indagine. Ogni provvedimento della magistratura che non sia conforme alle “attese” della opinione pubblica verrà accolto come una distorsione del sistema e genererà aspre critiche alla magistratura e disorientamento nella stessa pubblica opinione.

In secondo luogo, può incidere sulla stessa strategia processuale dell’indagato, favorendolo tramite la diffusione di notizie che il difensore viene a conoscere in anticipo rispetto al momento della reale contestazione.

In ordine all’acquisizione di fatti di rilevanza penale mediante dichiarazioni e interviste di persone informate sui fatti occorre rilevare che questi elementi costituiscono fatti rilevanti che devono essere riscontrati nel corso delle indagini e a cura degli organi della polizia giudiziaria e del pubblico ministero. Ancora una volta, va posto in evidenza che la loro pubblica diffusione può intralciare il corso delle indagini e influire sulla strategia difensiva. Una dichiarazione resa a organi di stampa da una persona informata dei fatti non è una testimonianza come, erroneamente, viene comunicato all’opinione pubblica. Queste dichiarazioni assumono un valore solo all’interno del processo penale e delle sue regole processuali. E’ qui la differenza sostanziale tra processo mediatico e processo penale. Ciò che viene dichiarato fuori del processo è irrilevante ai fini dell’accertamento della verità processuale. Costituiscono bias che rischiano di influire sul corretto dispiegarsi delle indagini e sul giudizio finale del giudice.  

Non voglio con ciò esprimere alcuna limitazione al diritto di informare e di essere informati. Tutto ciò che è utile alle indagini va riferito direttamente alla polizia o all’autorità giudiziaria. I fatti di cronaca giudiziaria possono – e il caso di Giulia Cecchettin e la presa di posizione della sorella Elena lo dimostrano – svolgere un ruolo importante sulla sensibilizzazione dell’opinione pubblica ma gli accertamenti penali sono tutt’altro. Così come lo sono le vere inchieste giornalistiche.
Riccardo Fuzio 

  
Il vero scandalo di cui dovrebbe parlare la Federazione nazionale della stampa italiana è quello che riguarda il bavaglio quotidiano che l’Italia manettara e alle vongole ha scelto di mettere da anni allo stato di diritto, trasformando con disinvoltura il processo mediatico nell’evoluzione del giusto processo. Vergogna. E grazie per la lettera.