le lettere

Ha ragione Spielberg, l'antisemitismo si combatte parlandone

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - “W l’Italia antifascista e anticomunista”. 
Roberto Alatri


Al direttore - Viste le manifestazioni nelle università e non solo in tutto l’occidente, visti gli episodi contro gli ebrei cresciuti in percentuali spaventose come lei stesso ha ricordato, visto lo stato dell’informazione così falsata, mi chiedo: ma Hamas avesse già vinto la sua guerra mediatica? Di fronte a prove schiaccianti come i video delle violenze degli stessi miliziani, come è possibile una tale ottusità di quelle anime sempre pronte alle battaglie umanitarie ed ecologiche? Uno scandalo è stato l’ultimo femminicidio in Italia, ma poche le femministe che hanno gridato il loro disdegno contro gli orrori del 7 ottobre. Allora devo pensare che in questa operazione culturale neanche Goebbels sarebbe riuscito. Hamas ha superato i nazisti anche in questo.
Enrico Cerchione

  

Non sono sicuro che Hamas stia vincendo la sua guerra mediatica, ma sono sicuro che per vincere la guerra mediatica vada clonato il metodo Steven  Spielberg. Metodo così sintetizzato dallo stesso regista: “Il modo migliore per combattere l’antisemitismo, così come il razzismo, è continuare a parlarne, perché appena si smette di farlo questi fenomeni peggiorano”. Da fondatore della USC Shoah Foundation, che detiene la più grande raccolta di video al mondo di sopravvissuti e testimoni dell’Olocausto, Spielberg, mosso da queste intenzioni, ha l’ok alla raccolta da parte della fondazione di testimonianze video delle atrocità commesse da Hamas contro gli israeliani il 7 ottobre per aggiungerle alla raccolta delle testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto. E  lo ha fatto Spielberg con questa motivazione: “La registrazione delle interviste e la raccolta continua di testimonianze sull’Olocausto hanno lo scopo di mantenere la nostra promessa ai superstiti: che le loro storie saranno condivise nello sforzo di preservare la storia e di lavorare per un mondo senza antisemitismo o odio di qualsiasi tipo”. Contestualizzare il 7 ottobre significa avere memoria. E per dire mai più il 7 ottobre va messo nella giusta cornice, come ha fatto Spielberg. Rastrellamenti, stermini. Mai più. 



Al direttore - Fa davvero impressione l’ormai infausta audizione delle rettrici di Mit, Penn e Harvard al Congresso in cui, interrogate se inneggiare al genocidio degli ebrei costituirebbe una violazione del codice di condotta delle loro università, le tre sprovvedute negano e affermano che “dipende dal contesto”. Mi domando se sia il canto del cigno della cultura woke o se la polarizzazione del dibattito anche su temi fino a ieri considerati tabù non sia il preludio a una nuova ondata anti sistema (leggi pro Trump)
Marco Vanucci, London South Bank University

 

La cultura wokista tende a essere molto sensibile quando vi è la possibilità di demonizzare l’occidente ma dimostra di essere poco sensibile quando vi è da difendere chi l’occidente lo difende. Quando scegli in modo manicheo di dividere il mondo tra oppressi e oppressori può capitare di confondere l’oppresso con l’oppressore e l’oppressore con l’oppresso. E quando sei abituato a considerare come unica forma di libertà d’espressione sostenere che l’occidente abbia sempre torto e che chiunque affermi di esserne oppresso dica necessariamente la verità può capitare di trasformare l’antisemitismo in una forma sofisticata di antirazzismo. 


   

Al direttore - Caro Cerasa, strepitoso il Minuz del 3 dicembre sulla tv. Quanto a me, ho notato che Amazon si pubblicizza sulle note di “In my life” dei Beatles, Nada vince con due hit (“Ma che freddo fa”, versione originale, per Yamamay, “Amore disperato” con testo adattato alle esigenze per “A, due A, due A, A-hA” ). Mettiamoci poi che ormai, quando riciclo il vetro, canto “Come è bello far l’amore” altrimenti non mi ricordo il tappo dove va. Chi abbia dubbi, si affidi alle colonne sonore... 
Marco Monguzzi


 

Al direttore - Considero un grave errore la marcia indietro del ministro Giuseppe Valditara sulla nomina di Anna Paola Concia come garante (insieme a suor Monia Alfieri e all’esponente del Popolo della famiglia, Paola Zerman, due personalità cattoliche doc)  della educazione alle relazioni personali nella scuola. Ma se   nel criticare l’ex deputata del Pd   – come ha ammesso la stessa interessata –  per aver accettato l’incarico la sinistra ha dato prova del settarismo che l’ha ormai portata a rinchiudersi nei “ridotti della Valtellina’’ dell’antifascismo e della difesa dei “nuovi” diritti (in)civili, la destra è riuscita a cucirsi addosso una delle accuse che le rivolgono  gli avversari: quella dell’omofobia. Non vi è, infatti, nessun altro motivo, se non le  attitudini affettive, per dire No a Concia. Peraltro la destra ha dimostrato un’inammissibile ignoranza. Da femminista storica Concia non ha nulla da spartire con la (sub)cultura del gender: il femminismo vuole liberare la donna dai suoi retaggi; il gender ne annienta la natura trasformandola nei fatti in un uomo con l’utero a cui si toglie persino la dignità di una desinenza. Inoltre, svolgendo quell’incarico, sicuramente con equilibrio, Anna Paola non sarebbe stata tenuta, al pari delle altre persone nominate dal ministro, ad andare di persona nelle scuole a predicare la tolleranza. Il loro compito sarebbe stato quello di predisporre un programma previsto da una legge e di monitorarne l’applicazione e la correttezza.
Giuliano Cazzola
 

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