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lettere al direttore

Un'idea concreta per tutelare chi è vittima di violenza

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Certi treni passano una volta sola.
Giuseppe De Filippi

   


    

Al direttore - Si è cominciato, qualche decennio fa, con l’educazione sessuale nelle scuole, a partire ancor prima della preadolescenza, per non perdere tempo. All’avanguardia, naturalmente, i paesi dell’Europa del nord e continentale. Noi non abbiamo seguito a ruota, siamo rimasti al palo. E, per una volta almeno, abbiamo fatto bene. Per non sapere né leggere né scrivere, viene da dire, abbiamo tassi di natalità e abortività in età pre e adolescenziale tra i più bassi del mondo e grosso modo di meno della metà dei paesi campioni di educazione sessuale nelle scuole. Ci sono cose che non funzionano, medicine che non curano: ecco, l’educazione sessuale nelle scuole è una di queste. Per tanti motivi. Gli insegnanti, intanto. Dovrebbero saperne, di educazione sessuale? E perché mai? A stare ai risultati delle indagini Ocse-Pisa sarebbe assai più produttivo se, quantomeno in Italia, ci si applicasse nell’insegnare meglio ciò che è richiesto di insegnare e per il quale i professori sono pagati, sia pure non certo profumatamente. Ora si minaccia di aggiungere al già debordante esercito degli insegnanti – che ha questo di formidabile: non fa che crescere mentre non fanno che decrescere alunni e studenti di tutti gli ordini – un’altra mandata di insegnanti, quest’ultima addirittura addetta all’educazione sentimentale dei discenti. Viene da chiedersi come fatti a tal punto drammatici e dolorosi come il brutale assassinio di Giulia Cecchettin possano ispirare progetti tanto sconclusionati e balordi. Spero che il buon senso finisca col prevalere. E che non si faccia niente di niente. Cioè niente di aggiuntivo che parta da scuole già intasate da insegnamenti che non servono che a distrarre dall’insegnamento di ciò che è più fondamentale. Niente di aggiuntivo nelle famiglie già alle prese con figli che non ci sono e alle quali non si fa che insegnare, quantomeno inconsapevolmente (ma è forse un’attenuante?), a non farne perché “il mondo è troppo brutto per mettere al mondo dei figli”. Niente di aggiuntivo nelle associazioni, nelle parrocchie, nei partiti, dove del resto i giovani non vanno da quel dì. Niente, perché non c’è niente da aggiungere. Ma semmai da sottrarre e certamente da ripensare. Sottraiamo ciarpame di insegnamenti dalle scuole elementari, una volta formidabili per essere centrate sull’essenzialità, sostenuta dall’azzeccata formula dei due insegnanti. Sottraiamo licei su licei dall’istruzione superiore, un’invasione liceizzante che s’è mangiata tanto l’istruzione del fare, scandalosamente relegata nelle segrete, quanto “I Promessi Sposi” e Giacomo Leopardi, per non parlare della grande cultura matematica, della quale non v’è traccia nella scuola italiana. Sottraiamo i centodieci a schiovere nelle università, accompagnati sempre più di frequente dalla lode, e ritorniamo a una severità del voto, e parallelamente dello studio, che non saranno mai troppo rimpianti. Sottraiamo la devastante facilità della vita del figlio nelle famiglie italiane senza figli, che genitori col complesso di inferiorità per essere tali si adoperano di realizzare in ogni modo, lasciando il figlio a impigrirsi nel non saper che fare. Sottraiamo gli alti lai, gli strepiti scomposti, le vesti stracciate, le lacrime versate e quelle pronte per esserlo all’indirizzo di uno stato del paese e di un destino degli italiani sempre descritti come sull’orlo del disfacimento. Stiamo declinando non già perché anneghiamo nella violenza, nei femminicidi o nella povertà assoluta. Non è così, e basterebbe un normale esercizio di onestà intellettuale per capirlo. Stiamo declinando perché pensiamo che la formula per sopravvivere sia quella di sottrarsi alla pienezza del vivere, rinunciando alla famiglia, ai figli, alle relazioni, tutto troppo faticoso. Stiamo declinando perché presi nelle libertà ne stiamo diventando le vittime, per non saperle più usare. Siamo i fortunati della terra e dovremmo essere all’altezza di questa fortuna. E invece non facciamo che scioglierci nelle lamentazioni sull’esistenza. Altro che aggiungere, dobbiamo guardarci dal non deragliare da minimi livelli di consapevolezza, individuale e morale.  
Roberto Volpi

Il corso scolastico sull’affettività, su cui tutti sembrano essere d’accordo, mi sembra sia il classico caso in cui si sceglie prima di legiferare e poi di accendere il cervello. Si dice spesso in queste ore: sì, ok, ma cose concrete, cosa si può fare? Si può fare molto. Si può descrivere la realtà senza minimizzare. Si può pensare anche a una legge costruita per offrire nuove tutele non per ottenere più titoli di giornali. E ci si può preoccupare di fare, nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano, qualcosa per provare a dire mai più. Noi abbiamo un’idea, per quel che conta. Regaleremo spazi pubblicitari a un servizio serio, attivo dal 2020, che offre assistenza e sostegno alle vittime di violenza. Un numero e un fatto concreto: 1522. Speriamo di non essere i soli.
 

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