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LETTERE

Con la lettera di dimissioni di Bernabè, per Ilva si mette male

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Domani Tajani va in Germania. Scambio di prigionieri?
Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Leggo sulle cronache locali che il presidente di Acciaierie d’Italia, Franco Bernabè, ha comunicato al governo che il suo mandato alla guida di Ilva è a disposizione, consigliando persino alla maggioranza di trovarsi uno a loro vicino. Che non hanno. Il manager, messo da Draghi alla guida del dossier più difficile del paese, è stimato e apprezzato dal premier Meloni. Ma ha le mani legate, non essendo tecnicamente a guida della holding. Nonostante questo, mi sembra, è riuscito a farsi apprezzare e stimare da tutte le parti: governo, privati, dirigenti, e sindacati, cercando di mediare tra tutti e mettendo la faccia con i media con grande coraggio, serietà e preparazione. Ponendosi, anche contro il suo volere, come la parte buona rispetto alla figura più spigolosa dell’ad Lucia Morselli, di cui tutti, da tempo, a leggere le cronache, chiedono il defenestramento. Ma la scorsa settimana qualcosa è cambiato, a quanto pare. A lanciare il sasso è stato il più importante sindacalista di Ilva, segretario della Uilm, Rocco Palombella. All’ennesimo allarme di cassa vuota lanciato da Bernebè, il sindacalista gli ha chiesto di dimettersi. Sono seguiti comunicati piccati di Fratelli d’Italia e persino del ministro Pichetto Fratin, contro il manager. Il governo ha tolto il dossier al ministro Adolfo Urso che spingeva per l’exit strategy dell’amministrazione straordinaria, per darlo a Fitto. Garanzia, per bacino elettorale, che Ilva non chiuderà. Il ministro da settimane tratta con Lucia Morselli un nuovo accordo, senza garanzie. Un disastro. Chi lo risolverà?
Alberto Banci

 

Confermo. A quanto ne sappiamo, Bernabè ha messo nelle mani di Meloni il suo mandato. Per Ilva si mette male.


 

Al direttore - In pochi giorni, con un crescendo rossiniano, il governo Meloni ha adottato una serie di provvedimenti in campo economico che ho sempre giudicato dei gravi errori che solo degli apprendisti stregoni potevano fare. Mi riferisco all’imposta retroattiva sulle banche, al blocco dei prezzi per i voli per le isole e ai limiti che si intendevano imporre all’affitto di appartamenti per periodi brevi. Ora sembra che tutto sia stato rimesso in discussione. L’imposta sulle banche, se non è stata del tutto eliminata per non far fare una figuraccia alla Meloni che se ne è assunta la piena responsabilità, è stata del tutto depotenziata per cui non produrrà di certo il gettito previsto inizialmente. Analoga sorte è toccata al decreto che poneva limiti ai prezzi dei voli per le isole che sono stati o saranno eliminati per cui il decreto in questione sopravvive solo per non far fare una pessima figura al ministro Urso attribuendo funzioni di controllo a chi già doveva esercitare i controlli previsti dal decreto. Infine, per quanto riguarda gli affitti brevi, vedo che Salvini ha dichiarato che non è compito dello stato mettere becco sul fatto che qualcuno affitti a breve o a medio o a lungo periodo. Se son rose, fioriranno anche se mi sembra il caso di ricordare il detto evangelico che recita: perdona loro che non sanno quello che fanno.
Pietro Volpi


 

Al direttore - Una Camera dei deputati che ieri ha offerto il suo contributo per ricordare quanto è importante, in Italia, il primato della politica. Ascoltando i discorsi di ieri, durante i ricordi di Giorgio Napolitano, mi è venuto in mente questo. A lei, caro Cerasa?
Arianna Tamponi

 

C’era un filo conduttore evidente ieri alla Camera, tra i discorsi che hanno omaggiato il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano. Giulio Napolitano ha ricordato cosa significa scommettere su una politica che sceglie di misurarsi con l’assunzione di responsabilità. Gianni Letta ha smontato la teoria del complotto che sarebbe stata portata avanti da Napolitano nel 2011 (vai avanti tu che a me vien da ridere). Giuliano Amato ha ricordato cosa significa reagire con forza all’egemonia di una repubblica giudiziaria (ad Antonio Ingroia e a Nino Di Matteo saranno fischiate le orecchie). Anna Finocchiaro ha ricordato perché i parlamentari non devono avere paura di difendere le loro prerogative e anche i poteri concessi loro dalla Costituzione (vedi alla voce immunità). Paolo Gentiloni ha ricordato perché l’europeismo è un ottimo antidoto contro la vigliaccheria veicolata dal populismo. Il filo è sempre quello: il virus dell’anti politica si combatte con tutti i mezzi che si hanno a disposizione. E chi sceglie di combattere quel virus solo a metà significa che in fondo quel virus, in fondo, non lo disprezza davvero. Un bel ricordo, una bella lezione. Grazie.

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