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le lettere

Ma sulla surrogata Elly Schlein la pensa come i colleghi spagnoli?

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - In Italia, lo spazio politico al centro è come un parcheggio in doppia fila: arriva sempre quello che ha furia o che deve uscire e fa la scena del matto fino a quando non ti sei spostato appena a destra o sinistra.
Cosma Damiano

   


       

Al direttore - Il lugubre monoteismo sessuale di questa stagione moralistica di divieti e comportamenti corretti.
Paolo Repetti

 


   

Al direttore - Dopo i brutali attacchi terroristici palestinesi in terra israeliana lo scorso fine settimana e nel corso della Pasqua ebraica, che hanno causato la morte di un nostro connazionale, Alessandro Parini (35 anni), e poco prima di due sorelle di nazionalità inglese, Rena (20 anni) e Maya (15 anni), e della loro mamma Lucy Dee,  Francesca Albanese, anch’essa italiana, Special Rapporteur alle Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi, ha espressamente negato il diritto di Israele a difendersi dal terrorismo e di fatto legittimato l’uccisione di cittadini in terra israeliana. Abbiamo chiesto ad António Guterres e chiediamo anche dalle pagine del suo giornale che a Francesca Albanese, non nuova a esternazioni di stampo antiebraico, venga  revocato senza indugio il suo incarico. E’ anche giunto il momento che alle Nazioni Unite sia nominato uno Special Rapporteur per il contrasto all’antisemitismo, per porre fine a questa indegna propaganda.
Arsen Ostrovsky, International Legal Forum
Barbara Pontecorvo - Solomon,  Osservatorio sulle Discriminazioni

 

Sottoscrivo. E aggiungo, sul tema di Israele, che il 14 maggio compirà 75 anni, che come ha scritto due giorni fa il Wall Street Journal in un editoriale magnifico, Israele non è perfetto, lo sappiamo, ma resta un esempio per il medio oriente. Resta un paese in cui i suoi cittadini combattono per difendere lo stato di diritto, e per difendere la democrazia, e resta un paese democratico circondato da paesi il cui scopo principale è spesso quello di fare tutto il possibile per cancellare quel paese delle mappe geografiche. Viva Israele.

   


    

Al direttore - Con riferimento all’articolo “Via Vivaio infinita” a firma di Giovanni Seu apparso sul Foglio di ieri, riteniamo opportuno precisare per completezza di informazione che con l’ordinanza emessa lo scorso 5 aprile il tribunale di Milano non ha decretato “l’assenza di discriminazione”. In realtà il giudice, dott. Angelo Claudio Ricciardi, ha stabilito che l’esistenza di una condotta discriminatoria, ossia l’inadeguatezza della nuova sede scolastica di via Gabriele D’Annunzio, potrà essere in concreto valutata “solo dopo il compimento delle opere edilizie di sistemazione della nuova sede, o quanto meno al termine della fase progettuale delle stesse”. Il tribunale ha infatti osservato che ove all’esito dei lavori “la nuova struttura dovesse rivelarsi inidonea a conservare i parametri educativi a suo tempo garantiti dalla scuola di via Vivaio, potrebbe esservi spazio per l’accertamento di una eventuale condotta lesiva della parità di trattamento degli alunni disabili”.

avv. Alessandro Gerardi, Associazione Luca Coscioni

 

Il giudice civile ha stabilito che il trasferimento della Scuola media per Ciechi di via Vivaio non rappresenta una “condotta discriminatoria” e non ha accolto la richiesta dei genitori e dell’associazione Luca Coscioni. Ci siamo limitati a riportare il dato fattuale. Continueremo a seguire la vicenda, in caso di futura eventuale “valutazione di discriminazione” dopo la fine dei lavori di ristrutturazione avremo modo di informarne i lettori. Grazie.

 


   

Al direttore - Ricorderanno in molti l’intervento dell’allora vicepresidente dell’Emilia-Romagna, Elly Schlein, nel corso del comizio di chiusura della campagna elettorale delle politiche dello scorso settembre. Schlein scelse di opporsi a Meloni nei toni e negli argomenti: tutti i giornalisti segnalarono il passaggio nel quale affermava il rifiuto di identificare e ridurre le donne ai loro organi procreativi. Usò un lessico semplice, parlò con passione ed energia, capirono tutti. Il messaggio era efficace oltre la polemica, coglieva un punto vero: solo in un tempo relativamente recente e solo in alcune aree del mondo le donne hanno conquistato una libertà che le affranca dall’essere costrette a soddisfare bisogni, desideri e pretese altrui in materia di sessualità e riproduzione. Dire “non siamo” i nostri organi riproduttivi, nessuna donna può/deve essere ridotta a essi era – è – certamente un messaggio forte, chiaro e coerente per un elettorato di sinistra ma non solo: vale per chiunque pensi che il cammino di libertà delle donne sia fondativo di civiltà. Può essere utile tornare su quel passaggio del comizio di settembre oggi che la maternità surrogata torna al centro della discussione politica e la sinistra fatica – eufemismo – ad affrontarla. Sarebbe, invece, tempo di farlo: non serve a nulla aggirare il problema, sfuggirlo, dichiararlo “divisivo”, non serve ridurlo a questione puramente normativa o peggio amministrativa: non è questa l’altezza del problema. Bisogna assegnare valore a un fatto, e farlo rapidamente: dire “la maternità surrogata è già vietata” – quasi con rammarico – non basta. Poche cose mettono il ricco occidente – non importa quali siano gli orientamenti sessuali – davanti a se stesso come questo fenomeno. Certo si può dire e si dice, a sinistra, è un diritto, lo è già in molte parti del mondo, è un fenomeno diffuso. Si può accettare che le donne tornino a essere – sia pure temporaneamente – mezzi per generare bambini destinati allo scambio, assai spesso economico, su scala mondiale. Che per fare questo cedano per quei mesi non un organo ma la vita intera, sottoponendosi a una disciplina specifica che va dall’alimentazione alla vita sessuale alla mobilità; si può accettare che la politica – di sinistra – non abbia nulla da dire se il mercato entra con tutt’e due i piedi in una zona delicatissima, quella della relazione materna, e la scomponga in modo funzionale; che siano le agenzie di intermediazione, le cliniche, gli studi legali a decidere ogni dettaglio di questo processo. Si possono invocare, a proposito, l’autodeterminazione e la libertà; si può dire che chiunque si opponga è parte di un fronte conservatore, bigotto, oscurantista. Si può fare, e in parte sta accadendo. Ma può accadere, invece, che la sinistra recuperi il senso della propria storia, dei conflitti che l’hanno attraversata – dall’abolizione della schiavitù all’autodeterminazione – e si riaccostino le parole alle cose. Che si comprenda che il rifiuto di essere ridotte a “fattrici” non può valere solo per le donne in questa parte del mondo; che i diritti sono una grammatica complessa che non può tradursi nella pretesa di disporre di un altro essere umano – una donna o un bambino. Nessuno ha “diritto” a un altro essere umano: la sinistra e il femminismo che ha contribuito a costruirla hanno impiegato secoli per affermarlo, perché ora tanta esitazione?
Fabrizia Giuliani

 

A Elly Schlein basterebbe dire che sul tema della surrogata la pensa come i propri colleghi spagnoli. Colleghi che hanno chiesto di continuare a considerare questa pratica illegale nel proprio paese. Colleghi che hanno invitato a ricordare “quante donne ci sono dietro questi casi, vittime di una chiara discriminazione per questioni di povertà”. Colleghi che hanno scelto di considerare questa pratica una “violenza contro le donne”. Ci chiediamo: è o non è questo lo stesso pensiero che ha Elly Schlein?

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