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Lettere

La sinistra “fuori moda e fuori tema” e una riflessione sull'astensionismo

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - “Oggi uno come Fusco avrebbe casa solo su Dagospia” (ieri, qui). Carmelo Caruso è sublime, ma perché tanta sfiducia nel Foglio? Con osservanza. 
Giuliano Ferrara


Al direttore - Elly Schlein: “Facciamo la sinistra”. Roberto Gervaso: “In Italia non è necessario essere di sinistra. Basta fingerlo” (“Il grillo parlante”, 1983).
Michele Magno

“Dubbio amletico: ma non è che con tutta questa cultura, il sostegno delle professoresse democratiche, la dimensione civile dell’impegno, il confronto fra solidarietà e responsabilità, e mettiamoci pure gli anni Sessanta e i Rokes, noi del Partito democratico siamo completamente fuori tempo, fuori moda, fuori tema? Fuori dal mondo?”. Così un geniale Edmondo Berselli ne “I sinistrati”. Senza aver avuto neppure bisogno di vedere Sanremo. 



Al direttore - Chiuse le urne nelle due principali regioni italiane, al netto delle percentuali dei singoli partiti o della somma puramente algebrica degli stessi, queste elezioni hanno certificato qualcosa di più profondo, su cui vale indubbiamente la pena soffermarsi e riflettere. Fatte salve eventuali prossime smentite che dobbiamo certamente mettere in conto, al momento è importante analizzare la realtà dei dati “a caldo”. In questa tornata elettorale, dove, come si diceva, sono andate al voto quelle che senza alcun dubbio possiamo definire le regioni  nevralgiche dell’intero paese (una, il Lazio, sede del motore politico nazionale, l’altra, la Lombardia, di quello economico), hanno avuto la meglio i partiti, di maggioranza o di opposizione, meglio strutturati. Non è un problema di leadership: tutti gli attuali movimenti politici, chi più chi meno, hanno un leader facilmente riconoscibile e riconducibile al partito di appartenenza. Ma non possiamo certamente prescindere da una considerazione oggettiva: la Lega, il Partito democratico e Fratelli d’Italia hanno qualcosa in più. Anzi, qualcosa che agli altri storicamente manca: una struttura e una classe dirigente sedimentata nel tempo e, soprattutto, strutturata. Di questi tre, due di maggioranza e uno di opposizione, che indubbiamente hanno “tenuto” a queste elezioni, c’è altresì da notare che uno (il Pd) è anche momentaneamente senza leader. Tutti e tre provengono da una storia che ha radici profonde, nonostante talvolta il cambio di sigle o di nomi. La Lega può certamente essere considerato un partito “storico”, anzi, nel panorama parlamentare attuale è quello più longevo tuttora in campo. Se vogliamo, potremmo definirla una sorta di vendetta della politica: non è sufficiente essere un abile oratore, un politico preparato o anche uno straordinario comunicatore: occorre un Partito! Non serve avere tanti vice leader, che poi nella realtà dei fatti sono qualifiche insignificanti, serve invece una solida classe dirigente sui territori. Una condizione del genere non si costruisce dall’oggi al domani, ci vogliono forza e coraggio (e spesso anche batoste elettorali!), ma è senza dubbio – la storia lo insegna – garanzia certa di durata nel tempo e, soprattutto, di capacità di assorbire i colpi. Non garantisce insomma il successo,  le vittorie o gli insuccessi in politica si susseguono e si inseguono, ma garantisce ammortizzatori che possano governare le affermazioni elettorali e cauterizzare le sconfitte. Possiamo essere certi che da domani i politologi si concentreranno sulla scarsa partecipazione al voto e amenità del genere, ma questi sono dati in linea con l’andamento di tutti o quasi i paesi europei nel momento storico attuale. L’elemento di novità mi pare proprio quello sopra segnalato, ma ci sarà certamente tempo e modo di ritornarci, questa volta “a freddo”.
Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Luigi Einaudi

Una riflessione a proposito dell’astensionismo record, suggerita da un caro amico. Forse, e diciamo forse, non trattasi solo di disaffezione. Forse, e diciamo forse, andrebbe ricordata, a questo proposito, una vecchia distinzione fatta dal liberale francese Benjamin Constant tra  la libertà degli antichi e quella dei moderni. La libertà degli antichi consisteva nella partecipazione, nell’esercitare direttamente e collettivamente la sovranità, quella dei moderni consisteva “nel pacifico godimento della libertà privata”. Forse, e diciamo forse, suggerisce il nostro amico, “l’errore sta nella pretesa di realizzare la libertà degli antichi in una situazione dove è attuabile solo quella dei moderni. E insomma, come si può pretendere di ricostruire una libertà degli antichi in un mondo dominato dalla libertà dei moderni?”.

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