Foto di Roberto Monaldo, via LaPresse 

Lettere

Letta sembra più vicino a Meloni che ai suoi alleati a sinistra

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Retropensiero della campagna elettorale di Enrico Letta: “Se dovete fucilarmi, fucilatemi. Ma almeno salvatemi la vita”. (Totò)
Michele Magno

 

Curiosa la campagna elettorale di Enrico Letta, negli ultimi giorni. Prima contro una riforma del lavoro firmata dal Pd (il Jobs act). Poi contro una legge elettorale firmata dal Pd (il Rosatellum). Ci sarebbe da dire, inoltre, che negli ultimi mesi il Pd aveva fatto di tutto per polarizzare la campagna elettorale sullo scontro Letta vs Meloni, eccolo il nuovo bipolarismo, ma il trend della campagna elettorale suggerisce uno scenario diverso e da qualche settimana a questa parte il massimo che il Pd riesce a dire contro il partito di Meloni è: ma come fa un partito come quello di Meloni a essere alleato con un partito come quello di Salvini? E la ragione è semplice e paradossale per il Pd: sull’atlantismo, sull’Ucraina, sul debito pubblico, sull’energia, le posizioni che ha oggi Letta sono più vicine a quelle di Meloni che a quelle dei suoi alleati a sinistra. Verrebbe da dire che Letta e Meloni pensano anche cose molto simili su Salvini, ma forse questa è un’altra storia.


 

Al direttore - “Esiste un filo tra lettori ed elettori?” si domanda il direttore. In realtà tra le copie vendute dai libri dei politici e i voti raggiunti nelle passate elezioni sembra non esserci relazione; ma “frugando in modo malandrino” nei database dei numeri “si scopre qualcosa di interessante sulla loro capacità di appassionare, di coinvolgere, di incuriosire e di intrigare”. La domanda di Cerasa può estendersi: tra intellettuali che scrivono ed elettori che leggono, che filo esiste? Anche lì “frugando in modo malandrino”, si scoprono cose interessanti. Ad esempio: Carlo Rovelli, l’autore di “Sette brevi lezioni di fisica”, l’inaspettato bestseller che nel 2015 fu il secondo libro più venduto in assoluto da Amazon, scrive sul Corriere della Sera (31 luglio 2022) un editoriale “Il conflitto e l’ipocrisia: serve un nuovo soggetto politico, l’umanità”. Il conflitto essendo ovviamente quello ucraino, l’ipocrisia sarebbero gli  occidentali. Perché li ingannano quando sostengono compatti che si deve condannare e contrastare chi invade uno stato vicino? O perché danno loro aiuti militari per difendersi (a meno che l’inganno consista nel dargliene meno di quanto hanno fatto sperare) e impongono sanzioni agli aggressori? L’ipocrisia, secondo Carlo Rovelli consisterebbe nel fatto che l’occidente si lancia “a cantarsi come detentore dei valori, baluardo della libertà, protettore dei deboli, garante della legalità, speranza per la pace” e “ostenta, ripete, declama la ferocia russa e cinese”. E parte a snocciolare l’elenco delle operazioni militari in cui si sono impegnati gli Stati Uniti e dei suoi alleati: dalle bombe di Hiroshima e Nagasaki, all’Afghanistan (dove però prima c’era stata l’invasione russa), Iraq, Libia, Serbia, Yemen, Grenada, Panama, Cile, Algeria, Egitto, Palestina. Ma ammassare fatti diversi, senza contestualizzarli, è moralismo apodittico e antistorico: se a negare il metodo scientifico è uno scienziato, la sua colpa è maggiore dell’ipocrisia. Il giudizio storico si basa sull’analisi  razionale  delle fonti; le conclusioni a cui giunge sono esposte al confronto con altri studiosi, e aperte a nuove evidenze documentali. In molti dei casi citati il giudizio è severo. Ma non è necessario che il nemico sia il nazifascismo perché  combatterlo non sia “ipocrita”. La storia ha giudicato il comunismo, l’imperialismo sovietico, le repressioni in Polonia e in Ungheria; il giudizio storico l’hanno dato i paesi che, appena caduti Muro e cortina di ferro, non hanno avuto dubbio da che parte stare. Che ci si sentisse più sicuri “stando di qua” e cioè sotto l’ombrello Nato, lo diceva anche Enrico Berlinguer: ipocrita quando lo diceva o quando ci si opponeva? Invadere l’Iraq è stato senz’altro un errore, ma perseguire i terroristi dell’11 settembre era imprescindibile per un paese attaccato in casa propria per la prima volta nella sua storia. Perfino Hiroshima, dimostrando che l’opzione atomica non è un’ipotesi teorica, potrebbe aver contribuito a rendere credibile l’equilibrio del terrore che ci ha dato questa lunga pace; e  poi, abbiamo visto quei corpi straziati, non il milione di quelli che probabilmente sarebbero morti in una guerra portata in terra giapponese. Di certo quelle armi hanno dato tranquillità all’Europa, come le portaerei americane la danno al Giappone e all’Australia: non sono bastate a garantire la libertà a Hong Kong, ma sono la protezione perché non succeda lo stesso a Taiwan. Rovelli deride chi si preoccupa per la salute mentale di quanti manovrano a distanza i droni killer (perché non dell’adrenalina dei piloti veri?): ma non ha una parola per i bambini deportati in Russia, 190 mila a fine aprile secondo il governo russo, probabilmente molti di più. Ipocrisia è non chiamarlo genocidio. Che cosa vogliono gli ucraini lo sanno tutti. Ipocrisia è far finta di non sapere che cosa vuole Putin: non avere uno stato democratico ai suoi confini. Poco importa che l’Ucraina sia distrutta, serve come primo tassello verso la ricostituzione dell’impero quale fu prima che Gorbaciov restituisse la libertà alle repubbliche dell’Urss. Putin ha dimostrato di essere un invasore seriale: Cecenia, Siria, Crimea. Se non verrà fermato, tutti i paesi confinanti a ovest temeranno che ricominci. Non è né “scientifico" né “politico” il  filo che collega il fisico famoso autore di successo e l’elettore che legge la pagina dei commenti del maggior quotidiano italiano. Il corteo di “zombi, giornalisti, editorialisti e politici di stati vassalli come il nostro” a seguito della “classe dominante occidentale che ci sta portando verso la terza guerra mondiale”, Rovelli lo accusa di ipocrisia. Ma è insipienza usare la propria reputazione per distogliere l’attenzione del lettore-elettore dall’importanza che avrebbe per Putin riuscire ed allontanare l’Italia dalla solidarietà euroatlantica verso l’Ucraina. Ed è cinismo politico non dichiararsi in modo inequivocabile opposto a tale eventualità.
Franco Debenedetti

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