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I buoni risultati del Pd quando va da solo. Calenda e Renzi, suvvia

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Capita di leggere, in questi giorni difficili, perentori inviti al Pd a recuperare la vocazione maggioritaria. Dopo una lunga fase in cui questa formula è stata messa in soffitta o irrisa come irrealistica. Entrò nel lessico politico alle elezioni del 2008. La propiziò la scelta di Walter Veltroni di affrontare le elezioni rinunciando a coalizioni fasulle. Fu la risposta coraggiosa di Veltroni al fallimento della coalizione da Mastella a Turigliatto. Il partito a vocazione maggioritaria che egli aveva immaginato durò tuttavia pochi mesi. Fu sconfitto ma giunse al 34 per cento. Invitai Walter, nelle ore successive al voto, a distribuire ai dirigenti del partito un articolo di Roberto D’Alimonte in cui si affermava che quel 34 per cento costituiva la base di partenza per costruire una alternativa al centrodestra. La lettura non sortì risultati. Il 34 per cento venne svalutato dai molti che restavano aggrappati al mito della unità della sinistra malgrado fossimo reduci da una disastrosa e artificiosa coalizione! Occorreva lavorare con pazienza per sviluppare la strategia della vocazione maggioritaria, dare al Pd caratteri programmatici e culturali che gli consentissero di dispiegare le sue potenzialità. Una scomposta pressione interna portò Veltroni alle dimissioni. Venne meno l’impegno a costruire una forza che sapesse guardare al di là della propria storia e insediarsi in uno spazio politico più largo. La crisi del governo Draghi prodotta dall’avvocato del popolo alla ricerca disperata di rivalse e dal calcolo  irresponsabile quanto velleitario di Lega e Forza Italia va affrontata dal Pd senza concedere nulla a convergenze elettorali che durano lo spazio di un mattino, facendo emergere un profilo programmatico e culturale con una forte ispirazione di governo e indicando come concretamente si intende dare risposte ai problemi di fondo in cui si dibatte il paese. L’unica strada per entrare in sintonia con una Italia preoccupata e stanca di chiacchiere, l’unica in grado di affrontare e magari sconfiggere politicamente ed elettoralmente la coalizione di destra.
Umberto Ranieri

 

Un Pd che va da solo, o quasi, non è necessariamente una cattiva notizia per il Pd. Nel 2008, quando  si presentò da solo, o quasi, alle elezioni, alleandosi soltanto con l’Italia dei valori, Walter Veltroni sfiorò il 34 per cento. Nel 2014, quando Renzi, alle europee, portò il Pd al 40,8 per cento, non lo avesse mai fatto, i dem alle elezioni si presentarono da soli, come previsto dal proporzionale che regola le europee. Andare al voto puntando sulla propria identità è un problema enorme se si guarda ai sondaggi ma può diventare un’opportunità gigantesca se si pensa a ciò che potrebbe succedere se il Pd fosse in grado di trovare un messaggio più ficcante rispetto alla semplice, astratta e incomprensibile declinazione dell’agenda Draghi. Il problema è trovarlo, quel messaggio. 


 

Al direttore - Calenda va dunque verso l’accordo repubblicano. Il tutti contro i populisti è chiaro, come messaggio. Mi sfugge perché Calenda debba estendere il concetto anche a Renzi, che mi pare in questa legislatura i populisti più che aiutarli li ha combattuti.
Luca Martoni

 

È una splendida notizia il fatto che il partito guidato da Enrico Letta, il Pd, e il partito guidato da Carlo Calenda, Azione, abbiano deciso di andare insieme alle elezioni. Ma se i due partiti scelgono di presentarsi insieme per sostenere l’agenda Draghi, qualunque cosa questo voglia dire, non è chiaro perché in quel fronte sia accettabile escludere chi, in Parlamento, ha creato le condizioni perché quell’agenda nascesse. 


 

Al direttore - Alla mia età, caro Cerasa, non si deve poter contare troppo sul tempo che rimane. Mi auguro, però, di riuscire a vedere, tra qualche mese, Silvio Berlusconi eletto presidente del Senato. Mica per lui, ma per la faccia che farebbero in tanti in Italia e all’estero.
Giuliano Cazzola

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