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Gli avvocati del populismo che ancora non osano nominare Putin

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nell’editoriale di sabato scorso il Foglio ha efficacemente descritto i percorsi paralleli di due leader europei come Emmanuel Macron e Mario Draghi, uniti dai comuni valori dell’atlantismo, dell’europeismo, dell’ottimismo operoso della società aperta, ma divisi dalla natura e dalle modalità di funzionamento delle élite che li hanno espressi: la classe “dirigente” nel caso di Macron e quella che, con felice espressione, il Foglio ha definito la classe “digerente” nel caso di Draghi. In entrambi i casi credo si possa dire che i due aggettivi rispondano a tratti strutturali di lunga lena delle élite dei rispettivi paesi. Il tecnico di ultima istanza, per così dire, è un compagno di strada da sempre (o almeno dal 1992, vero anno spartiacque nella storia del paese) della classe digerente nazionale. Purché il tratto di strada sia breve, si intende. E’ successo con il duo Prodi-Ciampi, è successo con Dini e con Monti, colpevole di essere sceso nell’arena politica, e se ne sono viste le avvisaglie con Draghi, reo di voler trasformare le istituzioni dall’interno. Oggi però c’è una differenza che sta scompaginando i progetti di rapido licenziamento del tecnico di turno della classe digerente e si chiama guerra, un fattore che chiude gli spazi alle sfumature dei “né-né” o dei “sì-ma” e impone scelte nette. Non abbiamo, come italiani, una grande tradizione di affidabilità nelle relazioni internazionali, almeno a partire dalla Grande guerra in avanti. E Draghi oggi deve farsi garante della scelta di campo occidentale del paese con un supplemento, forse anche suo malgrado, di decisionismo quasi da falco; soprattutto da quando nell’imminenza dell’aggressione all’Ucraina i capi d’azienda delle maggiori compagnie italiane hanno tenuto una conference call con lo stesso Putin per parlare di business, circostanza questa che non è passata inosservata nelle maggiori capitali. Forse servirà un digestivo.
Marco Cecchini

Grazie della lettera, caro Cecchini. Anche se in verità il problema dell’Italia, rispetto alla nuova guerra, mi pare che sia prima di tutto politico. E il problema riguarda tutti coloro, e sono molti, che dopo quaranta giorni di conflitto ancora non riescono a nominare una parola di cinque lettere, che inizia con “P” e finisce con “tin”. Vedi alla voce degli avvocati del populismo e del putinismo.  

 

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