(foto EPA)

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Il problema è che con Putin dovremo parlare, pur non fidandoci

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Al direttore - Uno invade uno.
Giuseppe De Filippi



Al direttore - Stando ai sondaggi, meno di sei italiani su dieci sono contrari all’aumento della spesa militare. Considero il risultato sorprendente. Si provi, infatti, a chiedere ai nostri compatrioti anche se sono favorevoli a un aumento delle tasse. Credo che il loro numero sarebbe da prefisso telefonico. Eppure entrambi i quesiti sono della stessa natura, alludono cioè a decisioni per definizione impopolari. Sono quelle che solo i governi seri, o guidati da un premier serio, sono in grado di prendere. Ciononostante, Giuseppe Conte ha scelto di cavalcare un facile pacifismo, per poi gridare vittoria dopo che il ministro Guerini ha confermato l’obiettivo da lui indicato già tre anni fa (crescita graduale della spesa militare fino al due per cento del pil entro il 2028). Non si può dimenticare, tuttavia, che l’ex avvocato del popolo (adesso delle cause perse), nel tentativo disperato di tenere il punto contro Draghi, si era travestito da illusionista. Ai suoi senatori, infatti, aveva illustrato un grafico che prevedeva un incremento progressivo della spesa militare di 1,5 miliardi l’anno fino al raggiungimento della fatidica percentuale nel 2030. Ora, chi scrive non si intende molto di investimenti nel settore della difesa. E, diversamente da Marco Travaglio, non può avvalersi della prestigiosa consulenza del generale Fabio Mini. Ma sa far di conto. Sa, quindi, che se in futuro il pil dovesse salire, come tutti ci auguriamo, quello stanziamento annuale fisso non sarebbe sufficiente per tagliare il traguardo del due per cento del prodotto nazionale. A meno che nel paese non si schiuda un’èra di “decrescita felice”, vecchio pallino dei fondatori del populismo digitale. Poscritto: poiché il famigerato “campo largo del centrosinistra” è ormai un cumulo di macerie, mi aspetto da Enrico Letta – un leader di partito che ha dimostrato di avere la schiena dritta – che si spenda con chiarezza per un sistema elettorale proporzionalistico “duro e puro”.
Michele Magno 

Il campo largo è diventato il campo santo delle coalizioni. Proporzionale tutta la vita: se non ora, quando?


Al direttore - Se l’articolo del New York Times sulla strategia di Putin cogliesse nel vero, la cosa sarebbe molto più inquietante di quanto possa già sembrare perché, con un’Europa irrimediabilmente dipendente dalla Russia sul piano energetico; con una Cina che ormai sfida economicamente nel mondo gli stessi Usa; con l’Africa e il medio oriente che, grazie ai secolari errori occidentali, sono sempre più vicini a Russia e Cina e sempre più lontani da noi: potrebbe essere l’occidente a innescare un terza guerra mondiale per sopravvivere a una propria crisi epocale – in termini industriali e di tenore di vita – prima che Russia e Cina giungano a superarlo anche militarmente. 
Gian Carlo Benelli

L’articolo di Bret Stephens, sul New York Times, è effettivamente interessante. Si chiede Stephens: “E se l’occidente stesse ancora una volta facendo il gioco di Putin?”. Questa possibilità, dice Stephens, è suggerita dal ricordo dell’assedio russo di Grozny, durante la prima guerra cecena a metà degli anni Novanta. “Nelle fasi iniziali del conflitto, combattenti ceceni molto motivati hanno spazzato via una intera brigata corazzata russa, sbalordendo Mosca. Allora i russi si sono ritirati e, da lontano, hanno raso al suolo Grozny, usando l’artiglieria e la forza aerea. Oggi la Russia opera pescando tattiche dallo stesso playbook. Quando gli analisti militari occidentali sostengono che Putin non può vincere militarmente in Ucraina, quello che vogliono dire veramente è che non può vincere giocando pulito. Ma quando mai Putin ha giocato pulito?”. Il tema, purtroppo, è sempre quello: con Putin ci si dovrà parlare, ma di Putin non ci si può fidare.

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