Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

Lettere

La stagione della stabilità passa per la scelta di Draghi al Colle

Le lettere al direttore del 2 dicembre 2021

Al direttore - L’editoriale sui “Dieci buoni motivi per essere ottimisti sul futuro dell’Italia” nel Foglio del lunedì è oltre che interessante largamente condivisibile. Ma una domanda sorge spontanea per chi ama quella cultura della stabilità economica e politica che assicura l’ottimismo, non nel breve, ma nel medio-lungo periodo. Perché mai questo paese per arrivare alle dieci pillole di ottimismo impeccabilmente illustrate deve passare dall’esperienza di un  comico alla guida del maggiore partito nazionale, di un venditore di bibite vicepresidente del Consiglio e di un ex comunista padano con lo sguardo a est che all’euro preferisce il rublo? Il paese si salva, ma sempre dopo avere guardato il fondo del burrone. La legislatura passata ha conosciuto momenti di ottimismo ragionevole: economia in crescita, fiducia dell’estero e addirittura pillole di volontà di riforma costituzionale (ah, dove saremmo oggi se avessimo deglutito quelle pillole!). Ma poi è arrivato il biennio 2018-2020. Chi voleva riformare la Costituzione si è perso e la logica del merito è stata sostituita da quella dell’uno vale uno. Accadeva ieri. Dunque la domanda è: come si fa a trasformare un periodo di tambureggiante ottimismo in una cultura della stabilità, magari in po’ noiosa, ma durevole?
Marco Cecchini

Una proposta ce l’avrei: trasformare la stagione passeggera che sta vivendo l’Italia in una stagione per così dire più durevole, della durata diciamo di circa sette anni e con un garante dello spirito del tempo che grosso modo potrebbe somigliare a chi quello spirito del tempo riesce a rappresentarlo molto bene oggi da Palazzo Chigi. E in questo senso Draghi non è il simbolo dei partiti commissariati, ma è il riflesso di una serie di trasformazioni che stanno investendo l’Italia, oltre che i partiti, e che sarebbe un peccato smettere di rappresentare.

 

Al direttore - Ho letto sul suo giornale l’articolo a firma Gianluca De Rosa dal titolo “Gualtieri dà ai municipi la gestione del verde urbano. Come Decentrare per non governare”, che ho trovato sorprendente nel contenuto e nei toni. Il tema trattato è quello del passaggio ai municipi delle competenze sulle aree verdi cosiddette “di interesse locale”, che il sindaco Gualtieri – come ha promesso in campagna elettorale – vuole rendere operativo quanto prima. A questo scopo, ho predisposto un proposta di deliberazione, che andrà all’approvazione della Giunta capitolina entro un paio di settimane, con la quale si forniscono agli uffici gli indirizzi per il conferimento ai municipi delle aree verdi con superficie fino a 20 mila mq e – al contrario di quanto affermato nell’articolo –  delle risorse economiche necessarie per la gestione e la manutenzione delle aree trasferite. Un provvedimento importante, che rappresenta il primo passo verso un maggiore e più diretto coinvolgimento dei territori nel governo della città e che vuole introdurre degli elementi di semplificazione rispetto alla situazione attuale, nella quale assistiamo a una sovrapposizione di competenze tra le varie parti dell’amministrazione sugli stessi spazi che rende difficile – questa sì – la comprensione  ai cittadini. Il piccolo giardino di Largo Chiarini, che oggi abbiamo trasferito al Municipio I, è l’esempio lampante di questa situazione. Una superficie di poco più di 2 mila mq, per la maggior parte occupata da un’area giochi per i bimbi, da qualche panchina e pochi alberi. La competenza sulla cura del verde orizzontale è del municipio, tutto il resto, giochi compresi, spetta al dipartimento Ambiente. Con la consegna effettuata oggi, che anticipa il modello di gestione che sarà effettivo dopo l’approvazione della nuova delibera, saniamo questa situazione trasferendo al  municipio la competenza su tutti gli aspetti relativi alla gestione e alla manutenzione dell’area, a esclusione delle alberature che restano di competenza dipartimentale in quanto soggette a interventi di monitoraggio generale e di eventuali terapie fitoterapiche per il contrasto agli infestanti. Si tratta evidentemente di una semplificazione rispetto al passato, esattamente il contrario di quanto sostiene l’articolo. Restituire il verde di prossimità ai territori, perché lo possano curare e prendere in carico con la possibilità di intervenire in modo coordinato su verde orizzontale, sulle aree ludiche, sugli arredi. Da ex presidente di municipio ho fortemente voluto il decentramento del verde, e da oggi, grazie a questo nuovo provvedimento, cominciamo a farlo diventare operativo  su scala cittadina. Una scelta necessaria, che sarà attuata in accordo con i presidenti in maniera progressiva. Roma è fatta di quindici città, che devono essere in grado di dare risposte a chi ci vive  e soprattutto devono poter programmare e progettare gli interventi nei vari ambiti. Nella consapevolezza che è possibile governarla soltanto se avviciniamo l’amministrazione e i centri di responsabilità ai territori, e quindi ai cittadini.
Sabrina Alfonsi
Assessora all’Agricoltura, all’Ambiente e al Ciclo dei Rifiuti
del Comune di Roma

 

Al direttore - Condivido pienamente il suo commento sulla vicenda Mediobanca-Generali. A differenza di ciò che scrivono alcuni, che sembra vogliano eludere il “punctum dolens”, il problema non sta nella legittimità o no della lista del Consiglio di amministrazione che Generali presenterà per il rinnovo delle cariche aziendali nel prossimo aprile o del “prestito-titoli” che Mediobanca ha assunto per rafforzare la posizione di primo azionista del Leone in previsione del suddetto rinnovo, bensì nei requisiti, nelle condizioni, nelle compatibilità che dovrebbero essere necessari per realizzare queste operazioni, astrattamente non illegittime. Qui entra in campo l’interesse non solo della Consob, ma anche dell’Authority che sovrintende alla Vigilanza di stabilità, l’Ivass. Posto che nessuno si è mai sognato di affermare che, per esempio, con il prestito dei titoli non si attui un trasferimento di proprietà, ci si deve chiedere, come pure lei ha accennato, se ciò sia compatibile con le esigenze, da un lato, della stabilità aziendale, dall’altro, del mercato, della trasparenza, della corretta competizione. A questo punto, potrebbe proliferare la prassi di prestiti che vengono chiesti per incidere decisamente sulla governance di una società, per poi essere subito dopo rimborsati, con l’azionista che, quanto al possesso di azioni, diventa altro da quello che prima ha votato o addirittura non è più azionista. Lo stesso si dica per la lista del consiglio che certamente fa sorgere problemi sul versante delle incompatibilità, dei conflitti di interesse, delle procedure, che non dovrebbero affatto essere elusi, a maggior ragione se l’approvazione della lista è a maggioranza e non all’unanimità dei componenti dell’organo. Ma, poi, cosa si direbbe di un governo, di un’amministrazione comunale che, in ipotesi, presentassero alle elezioni una propria lista, avendo nella loro disponibilità il “potere” delle cariche, ma pure quello di influenza fino al momento del voto? Insomma, la competizione dovrebbe essere aperta e con regole del gioco accettate e non con comportamenti autoreferenziali. Una legge elettorale non si può fare “contro” una parte importante. Ma, poi, ci si è dimenticato il famoso detto di Enrico Cuccia: “Titolo quinto, chi ha i soldi ha vinto”. E, allora, si competa sulla base di programmi, di proposte strategiche, di innovazioni, a cominciare dalla ricapitalizzazione delle Generali, di cui si parla da circa quindici anni, senza tuttavia agire di conseguenza. Del Vecchio e Caltagirone, in Mediobanca e nella Compagnia, acquistano – con i soldi di cui parlava Cuccia – titoli e si preparano alle sfide. Non è il modo migliore di rispondere quello delle acrobazie, che per di più possono non riuscire, statutarie e societarie. Già denotano debolezza e affanno nel tentato contrasto. Mediobanca e Generali meritano ben altro.
Angelo De Mattia

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