Il Pd non può festeggiare il compleanno senza dire: hip hip urrà primarie

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 15 ottobre 2020

    Al direttore - 165 senatori col governo e manco un delatore.
    Giuseppe De Filippi

     


     
    Al direttore - Riuscirà il Pd a festeggiare il suo tredicesimo compleanno senza buttare via lo strumento politico che più ha contribuito a rendere il Pd un partito moderno, ovvero le primarie?
    Luca Maroni

     

    Le primarie sono state una delle più grandi innovazioni della politica italiana negli ultimi quindici anni. Hanno contribuito a innovare i partiti. Hanno contribuito a fare emergere leadership. Hanno contribuito a selezionare la classe dirigente. L’esempio di Roma, preso ieri da Ignazio Marino come esempio negativo in un’intervista alla Stampa (“Le primarie non contano. Guardate le carriere di Gentiloni e Sassoli”), è calzante per le ragioni opposte a quelle offerte dall’ex sindaco: fu anche grazie a quelle primarie che a Roma iniziò a emergere una classe dirigente – Gentiloni in primis, ma anche Sassoli – alternativa a quella che aveva governato a Roma nei vent’anni precedenti. I partiti che hanno nel Dna le primarie di solito sono partiti dotati di classe dirigente. E tredici anni dopo la nascita del Pd, non si può che ringraziare chi all’epoca decise di innovare la politica a colpi di competizione e dunque di innovazione. Auguri Pd. 

     


     

    Al direttore - Oggi la classe del mio secondo figlio è stata teatro di un clamoroso episodio di cronaca. Smarrita, forse addirittura rubata, la felpa blu del piccolo Fabio acquistata presso una nota catena di moda spagnola. “Possiamo controllare negli zaini dei ragazzi?”. “Nella borsa di Viola niente”. “Giorgio ha lo zaino vuoto”. “Anche Matilde è tornata con uno smanicato non suo. Qualcuno ne ha per caso uno rosa con le stelline?”. “Giacomo è tornato senza zaino”. La notizia della felpa di Fabio, come avrà capito, è stata diffusa su uno dei più potenti mezzi di comunicazione che gli ex “nuovi media” ci abbiano messo a disposizione: la chat di classe. Il motivo per cui, caro direttore, la chiamo “chat di classe” e non “chat delle mamme” è puramente boldriniano, perché nella mia modesta esperienza di mamma di tre figli non ho mai, e dico mai, visto un padre (inserito il più delle volte dalla moglie in vena di polemiche) intervenire senza quella sua aria di saccenza mista a ironia  – “Ciao mamme! Sono le 10.38 e da stamattina avete scritto solo 30 messaggi. Tutto ok? Mi fate preoccupare”. Già, perché la chat di classe, nell’èra del Covid, è un luogo di confronto su tutto: salute, meteo, merende, occorrente scolastico, problema mensa, se i cibi serviti contengano abbastanza vitamina D; per non parlare dell’impatto psicologico del coronavirus sui bambini con relativo dibattito sul comportamento a casa di tutti e 24 gli alunni della classe: “Chi ha notato cambiamenti dal 14 settembre a oggi?”; per finire col classico dei classici: “Oggi è il compleanno di Luca” e in 23 rispondiamo “auguri piccolino” con aggiunta di faccine. Lei ora dirà che si può silenziare la chat. Tipico commento da maschio, mi lasci dire. Non è possibile ammutolire le mamme per due ordini di motivi. Il primo riguarda il fenomeno noto come “inquinamento mediatico”, che è anche alla base della diffusione delle fake news, il secondo è una questione di galateo. E’ vero che in chat il vero virus è quello della grafomania, ma se non leggi tra le righe dei 100 commenti sulla quantità di compiti assegnati alle povere creature, rischi di perdere l’unica vera notizia: domani la scuola è chiusa perché Tizio e Caio sono risultati positivi. Inevitabilmente l’indomani eccoti come un ebete col bambino assonnato davanti al cancello alle otto in punto costretto a rivelare la tua distrazione proprio in chat, dove mestamente scriverai: “Ciao ragazze sono qui all’entrata. Che succede?”. E la rappresentante di classe, che vive per momenti come questi, implacabile: “Abbiamo il gruppo proprio per questo. Se non lo leggete non so come aiutarvi”. Già, perché la chat di classe è così. Se scrivi troppo vieni deriso, ma se non partecipi sei una stronzetta. Dunque il mio consiglio ai lettori è di aggiungere con rassegnata buona volontà la chat della classe alla rassegna stampa del mattino, anche perché, se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, è spesso piena di consigli migliori di quelli forniti dal Comitato tecnico scientifico, è gratis e quasi sempre in anticipo. In caso di chiusura anticipata delle scuole suggerisco invece alle mamme di inserire il presidente Conte in tutte le nostre conversazioni.
    Nathania Zevi

     

    E’ ora di un dpcm contro le chat dei genitori – by the way: i papà che non sono in chat di solito non ci sono non per pigrizia ma perché sono già stremati dalle chat sul Fantacalcio.

     


     
    Al direttore - Cari negazionisti del Covid, in questo periodo difficile per le infezioni da coronavirus, non c’è proprio bisogno di negare la sua esistenza e di divisioni. 1) Vi prego gentilmente di andare a vedere cosa è accaduto nelle zone dove sono venute a mancare tantissime persone per infezioni da coronavirus, in particolare andate a Bergamo, questo vi aiuterà a capire l’immensa tragedia avvenuta; 2) Andate a sentire i parenti dei medici, degli infermieri, di tutto il personale sanitario, dei volontari, delle forze dell’ordine, di tutti gli altri parenti di persone venute a mancare per il coronavirus; 3) Quando c’è un’emergenza come quella per coronavirus, bisogna collaborare tutti per mettere in atto una strategia, un programma per salvare più vite possibili; 4) In queste situazioni c’è bisogno di essere uniti per reperire risorse ed energie, economiche e umane, assunzione di più personale, medici, infermieri per gli ospedali e in particolare per il territorio, con più mezzi e materiale a disposizione, per rafforzare i servizi sociosanitari sul territorio, per fare filtro, prevenzione; 5) Poi c’è bisogno di potenziare le rianimazioni, con più posti letto, più materiale e apparecchiature moderne; 6) Ora dobbiamo tutti fare la nostra parte di responsabilità, per contribuire dentro ai mezzi di informazione e formazione alla circolazione di notizie scientifiche vere, corrette, sincere, per contribuire a fare crescere in ognuno di noi e nella società la coscienza etica e morale per la salvaguardia e la difesa della salute affinché sia veramente garantita a tutti i cittadini in eguale misura; 7) Con questa grave pandemia da coronavirus  dobbiamo impegnarci e lavorare con tenacia nella solidarietà tutti uniti per migliorare le condizioni di convivenza e di salute. Non si salva nessuno da solo, dobbiamo crederci e ognuno di noi dare il proprio contributo di impegno per superare questo momento di crisi sanitaria, economica, sociale. Ce la faremo a uscirne in salute e tutti migliori.

    Francesco Lena 

      


     

    Al direttore - Una giovane ragazza di 18 anni muore per un’overdose il giorno del suo compleanno. Qualcuno per strada, accecato dall’odio e nonostante la giovane età dice: “Era solo una tossica”. La società con occhi offuscati dalle ortiche tende a punire per sempre (anche dopo la morte) chi è stato dipendente: non importa se ha provato a cambiare vita, sarà sempre marchiato come colpevole. Il tossicodipendente, per quanto cronicizzato, non può essere abbandonato alla sua condizione di disagio e di malattia e deve essere sempre considerato recuperabile alla vita. Chi fa uso di sostanze psicotrope non è in grado di gestirsi, recando danni a se stesso e a chi gli è vicino. L’eroina, in particolare, porta con sé il fantasma della disperazione, autodistruzione e morte, che prende corpo in un circolo progressivamente vizioso fatto di reati, carcere e overdose. Criminalizzare il consumo di droga è un’operazione pericolosa: non allontana dalla consapevole modifica dei comportamenti, produce emarginazione sociale, spinge alla microcriminalità e attrae i consumatori di droga nel circuito carcerario. La salute non ha colore politico: sono necessari aiuti sociali alle famiglie e alle comunità terapeutiche. Ma non basta: serve un’azione diretta anche per il reinserimento sociale con la creazione di un fondo speciale per le politiche di reinserimento lavorativo con il supporto anche dei privati. Ricordiamoci che un uomo la cui dignità è calpestata dalla sua condizione di dipendenza può risollevarsi e che la strada per la libertà passa dall’inclusione la formazione e il lavoro. Le comunità possono aiutare chi cade verso il recupero, ma poco potranno fare senza la stima e il supporto di ognuno di noi.
    Andrea Zirilli

     


     
    Al direttore  - CR19.
    Gino Roca