Il vero sfregio alla Costituzione è il taglio alla libertà delle imprese

Le lettere del 3 settembre al direttore del Foglio Claudio Cerasa

Al direttore - Perfetto Mario Draghi: “Gli incentivi devono creare nuovi lavori, non salvare quelli vecchi”. What else?

Luca Martini

Perfetto Draghi (leggetevi il dossier su questo tema pubblicato sul Foglio). Perfetta l’idea di dover rendersi conto che il modo migliore per prepararsi al futuro non è bloccare la trasformazione del lavoro ma è formare nuovi lavoratori (prima che arrivasse la pandemia, la vedova di Steve Jobs, Laurene Powell, sosteneva che il 65 per cento dei lavori che faranno i nostri figli ancora non è stato inventato, e non avremmo il coraggio di chiederle la percentuale aggiornata al Covid). Così come perfetti sono alcuni dati, ignorati, offerti pochi giorni fa da Unioncamere. Primo dato: “Tra il 2020 e il 2024 il sistema economico italiano dovrà sostituire oltre 2,5 milioni degli attuali occupati, perché questi ultimi avranno raggiunto l’età di pensionamento o per altre cause”. Secondo dato: a oggi, nello stesso arco di tempo, il “fabbisogno complessivo dell’Italia sarà compreso tra 1,9 e 2,7 milioni di lavoratori”. Significa che nei prossimi anni ci saranno molti posti di lavoro che verranno a mancare. Ma significa che i posti di lavoro del futuro potenzialmente potrebbero essere più di quelli del passato. E per farsi trovare pronti – e trasformare la transizione del lavoro in un’opportunità di crescita – un paese come l’Italia ha solo un’opzione di fronte a sé: capire che il vero sfregio alla Costituzione non è il piccolo taglio ai parlamentari ma è il progressivo taglio alla libertà degli imprenditori.


    

Al direttore - Sul dl “Semplificazioni”, come avete già segnalato sul Foglio, siamo al paradosso: la sostituzione edilizia e la rigenerazione urbana non si fanno più. Gli emendamenti presentati da una parte della maggioranza e passati l’altra notte rappresentano un’ulteriore ingessatura, laddove lo spirito del provvedimento sarebbe dovuto andare in tutt’altra direzione. Si estende così oltre i veri centri storici il divieto di usare la demolizione e la ricostruzione semplificata, ricomprendendo “zone assimilabili” alle zone A, centri e nuclei storici consolidati, “ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico”. In pratica i capannoni o edifici degradati avranno lo stesso trattamento, ovvero subiranno le stesse procedure autorizzative come gli immobili vincolati quali palazzo Borghese, palazzo Doria, palazzo Barberini, ecc. Ma questa sarebbe la tanto annunciata semplificazione? Ma dove sono finiti tutti i proclami sul Green new deal, sulla sostenibilità ambientale, sul bisogno di ri-adeguare le nostre città a standard più vivibili e compatibili con le nuove esigenze dettate anche dalla crisi, se è palese ormai che non si è affatto compreso che il tema della rigenerazione urbana riguarda il futuro di tutti noi? Quanti progetti le amministrazioni locali dovranno far ripartire da capo? La maggioranza si è piegata a un mero ricatto elettorale di una sua parte, ancorché esigua, con il risultato che le nostre città e Roma in particolare, che vanta una città storica estremamente estesa, rimarranno così ancora per anni nel degrado più totale, con edifici obsoleti, vetusti, energivori e sismicamente non adeguati. Ci auguriamo per lo meno che i cittadini se ne ricordino in sede elettorale.

Nicolò Rebecchini, presidente di Ance Roma

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