La presentazione del dl Semplificazioni, lo scorso 7 luglio (foto LaPresse)

i travagli tra il m5s e conte

Così al Senato il decreto "Semplificazioni" è diventato un garbuglio molto complicato

Valerio Valentini

Doveva essere "la madre di tutte la riforme", per Conte. Ma l'oltranzismo del M5s a Palazzo Madama contraddice le promesse del premier. La mediazione di Patuanelli. Il nodo idrocarburi e quello dell'aeroporto di Firenze 

Roma. Forse bisognerebbe liquidarla con le parole che Alessandro Cattaneo, responsabile Infrastrutture di Forza Italia, ha rivolto ai suoi colleghi del Pd, dicendo loro che “pretendere di semplificare e favorire la crescita insieme al partito della decrescita e del giustizialismo e alla sinistra massimalista è un po’ come trovare la quadratura del cerchio”. E però, nel gruppo dei senatori dem, ci deve essere stato pure chi nell’impresa c’ha creduto, se poi è sbottato. Bruno Astorre, democratico di rito franceschiniano, dopo una settimana passata a seguire il travaglio della commissione Lavori pubblici, con riunioni che s’interrompevano ogni tre ore per trovare un’intesa puntualmente rimandata, alla fine sbottato: “Doveva essere il decreto Semplificazioni, e invece si sta trasformando nell’ufficio complicazioni affari semplici”.

 

Era “la madre di tutte le battaglie”, questo provvedimento. Così lo aveva ribattezzato Giuseppe Conte a inizio giugno. E invece, nella più canonica delle tradizioni italiche, s’è trasformato in un garbuglio. “Un po’ di ritardo è fisiologico, data la mole del decreto”, concordano Dario Parrini e Franco Mirabelli, coloro che nei dem seguono più da vicino i lavori in corso a Palazzo Madama, quando diventa chiaro che il testo non arriverà in Aula in giornata, come previsto, ma resterà per tutta la notte al vaglio delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio. “Del resto, con 1500 emendamenti da valutare, è normale che il lavoro sia estenuante”, dice Parrini.

  

   

Ma non è certo lo zelo, quello che manca. “Il problema è politico”, sbotta a metà mattinata Federico D’Incà, ministro per i Rapporti col Parlamento del M5s costretto a mediare coi suoi stessi senatori. I quali, fedeli al loro ideologismo, arrivano perfino a contraddire le indicazioni del governo, dei loro stessi rappresentanti in Cdm, del loro stesso presidente del Consiglio. Che in effetti, nella conferenza stampa di chiusura degli Stati generali di Villa Pamphili, aveva elogiato il progetto di stoccaggio del biossido di carbonio nei giacimenti esausti di idrocarburi. Un progetto ambizioso, portato avanti dall’Eni, che Conte descriveva con toni a dir poco entusiastici: “A Ravenna nascerà il più grande centro al mondo di cattura e stoccaggio di Co2”, diceva a metà giugno.

 

Al che il senatore Stefano Collina, romagnolo del Pd, pensava che sarebbe stata una formalità, l’approvazione di un suo emendamento a favore di questo progetto. E invece s’è ritrovato contro la batteria di fuoco del M5s, duro e puro nel dire che quello era un regalo ai petrolieri, ai perforatori del suolo, agli amici delle trivelle. E lo stesso oltranzismo i grillini lo scagliavano anche contro altri analoghi emendamenti in favore della decarbonizzazione. “Voi volete passare dal carbone al gas, e invece bisogna passare all’idrogeno”, sbraitavano i grillini. E di nuovo i lavori si arenavano. Al punto che alla fine è toccato a Stefano Patuanelli, ministero dello Sviluppo economico, porre un freno allo squadrismo ambientalista dei suoi, accogliendo il ricorso di un incredulo Collina, che dopo essersi visto stoppare il suo emendamento, se l’è visto di fatto riabilitare dal Mise.

 

Ma intanto il guaio, da Ravenna, si spostava a Firenze. Perché, mentre Matteo Renzi e Luca Lotti facevano a gara a chi promuoveva l’emendamento risolutivo per accelerare i lavori di rifacimento dell’Artemio Franchi (alla fine l’ha spuntata l’ex premier), i grillini toscani pretendevano che lo stadio venisse rifatto, se proprio andrà rifatto, seguendo tutte le norme più stringenti, rispettando tutti i vincoli cervellotici della soprintendenza di turno. Stesso copione per l’aeroporto del capoluogo, sul cui ampliamento il M5s si esprime in senso contrario. E insomma perfino Astorre, che pure c’aveva creduto nell’impresa, allarga le braccia: “Sulla rigenerazione urbana stiamo per votare un emendamento a firma Nugnes-De Petris che complica e appesantisce laddove bisognerebbe semplificare snellire. E io infatti voterò contro la maggioranza”. Come a confermare che no, il cerchio non si può quadrare. E non basta Conte a mutare la natura del grilliamo.