(foto Ansa)

Più trojan per tutti. E una pista ciclabile per lo Stretto. Allegria!

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Entrata in vigore nuova normativa su intercettazioni e trojan: gli avvocati, come me, possono ben dire di vergognarsi che il ministro Bonafede sia un collega.

Alberto Savoini 

 

Uno dei dati più paradossali di questo governo, finora forse quello più negativo, è quello di aver contribuito a sbilanciare ancora di più la giustizia italiana, dando ancora una volta più diritti all’accusa e sottraendo ancora una volta diritti alla difesa. E’ un avvocato il ministro Bonafede, e sarebbe interessante sapere chi lo ha abilitato a questa professione, ma è un avvocato anche il presidente del Consiglio, che dovrebbe sapere, e certamente in cuor suo lo saprà, che ferita sia per il nostro martoriato stato di diritto il non aver fatto nulla per combattere per esempio la pratica delle intercettazioni a strascico, il cui utilizzo è stato esteso dalla nuova riforma rendendo possibile l’utilizzo delle captazioni anche in procedimenti diversi rispetto a quello nel quale l’intercettazione è stata autorizzata. Ha sintetizzato bene purtroppo la situazione il responsabile Giustizia e Affari costituzionali di Forza Italia, Francesco Paolo Sisto, che al nostro Ermes Antonucci ha detto: “Con l’entrata in vigore della riforma delle intercettazioni, si apre ufficialmente l’èra del Grande Fratello ‘Trojan’”. Il ribaltamento della riforma è stato completato: dal “no allo sputtanamento” a “più trojan per tutti”.


Al direttore - Grazie alla pista ciclabile sullo Stretto gli studenti potranno andare a scuola da Messina a Reggio direttamente con i banchi a rotelle.

Luciano Capone


 

Al direttore - Non che sia una sorpresa, anzi. Ma se le cifre che iniziano a circolare sulla partecipazione dei fedeli a messa dopo la riapertura del 18 maggio saranno confermate anche nelle prossime settimane (e nulla lascia presagire il contrario), la realtà con cui i vescovi dovranno fare i conti sarà ben più dura delle più fosche previsioni. Parliamo di una percentuale che oscilla tra il 30 e il 40 per cento, non di più. Il che vuol dire che 7 o 6 fedeli su dieci, soprattutto giovani, non stanno tornando a messa. Paura del virus ancora in circolazione? Forse. Ma sarebbe alquanto superficiale e miope attribuire il fenomeno al timore del contagio; tanto più a fronte di discoteche ristoranti e locali che, al contrario, sono di nuovo affollati (a partire dagli stessi giovani di cui sopra). Diciamo le cose come stanno: se la gente non va più a messa è perché con la scelta (che di questo, e non di altro, si è trattato) della chiesa italiana di sospendere le messe coram populo – un fatto di inaudita gravità in duemila anni di storia, con l’aggravante che il Covid-19 non è neanche lontanamente comparabile con altre pandemie – il messaggio che è passato, tanto semplice quanto devastante, è stato questo: si può vivere senza Eucarestia, la fede può sussistere anche senza sacramenti. Poi hai voglia a dire che bisogna lavorare a “nuove forme di presenza ecclesiale” e che è urgente un “cammino comunitario che favorisca un maggior coinvolgimento dei genitori, dei giovani e degli adulti, e la partecipazione all’Eucarestia domenicale”, quando le pecore sono scappate. D’altra parte – questo il ragionamento di svariati preti vescovi e teologi durante il lockdown – non è forse vero che esistono zone del pianeta dove i fedeli vivono ordinariamente in questo stato, senza cioè potersi comunicare o potendolo fare solo due-tre volte l’anno? Sono forse costoro cristiani di serie B? Certo che no. Ma un conto è non potersi confessare o comunicare per cause “strutturali”; tutt’altra faccenda è, potendo scegliere, decidere di privare i fedeli dei sacramenti mentre supermercati e tabaccai sono rimasti aperti. Spiace dirlo, ma la verità è che si è dato a Cesare quel è di Dio, ciò che oltretutto ha rappresentato un passo avanti verso la definitiva e compiuta protestantizzazione del cattolicesimo (cosa questa che in certi ambienti sedicenti cattolici magari neanche dispiace). Una scelta che ha lasciato l’amaro in bocca in tantissimi fedeli e che è parsa essere dettata più dall’esigenza di non voler creare troppi problemi all’attuale governo, onde evitarne un altro meno gradito, che da altro. La stessa esigenza, per capirci, che ha fatto sì che nelle ultime settimane, di fronte al rischio concreto che tra non molto non si potrà più dire che i bambini hanno diritto a un padre (maschio) e a una madre (femmina), e al fatto che le donne potranno abortire a domicilio, e che molte scuole cattoliche non riapriranno, da parte dei vescovi, e fatta salva qualche lodevole eccezione, si sono sentiti solo flebili belati, e molto misurati. Mai come in questa occasione calzano a pennello le parole della Regola pastorale di San Gregorio Magno, di cui ieri si è celebrata la memoria: “Spesso i pastori malaccorti, per paura di perdere il favore degli uomini, non osano dire liberamente ciò ch’è giusto e, al dire di Cristo che è la verità, non attendono più alla custodia del gregge con amore di pastori, ma come mercenari”. D’ora in avanti ricordiamoci di sanificare le feste.

Luca Del Pozzo

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