La statua di Indro Montanelli, a Milano, imbrattata durante un corteo femminista (foto LaPresse)

La barbarie della storia rimossa e il confine da non superare

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Seguo con interesse il dibattito sollevato da taluni ferventi democratici circa l’inopportunità che i giardini pubblici di Milano siano intitolati a Indro Montanelli e, inopportunità nell’inopportunità, che permanga negli stessi giardini la statua dedicata al giornalista. Secondo i promotori del dibattito il Montanelli in gioventù (sospetto che in realtà non pensino solo a quella) ha fatto cose di cui molto vergognarsi e non merita l’onore che la città gli ha riservato. Ecco, visto che siamo in una fase di rimozione (soprattutto di intelligenza e memoria) approfitterei per segnalare che davanti all’Università Statale c’è un giardinetto dedicato a Camilla Cederna, una che in quanto a cose di cui molto vergognarsi non è seconda a nessuno.

Valerio Gironi 

 

Sulla statuta di Montanelli, consiglio la lettura del fantastico pezzo dell’Elefantino oggi in prima pagina. Sul resto, sul tema della nuova polizia del pensiero, bisogna stare attenti e ricordare qual è il problema di fondo. Che è questo: una volta che si accetta il principio che le storie del passato vanno ricontestualizzate nel presente si accetta il principio che tutto ciò che fa parte di un mondo diverso rispetto a quello dei sogni possa essere trasformato in incubo da rimuovere. E se si accetta questo principio, si oltrepassa un confine pericoloso, superato il quale a ciascuno di noi è concesso di rimuovere in modo discrezionale ogni simbolo riconducibile a una storia del passato. Un esempio di tutto questo lo ha fatto ieri, su Twitter, Antonio Polito: “Ho appena scoperto che anche i romani praticavano la schiavitù, di conseguenza ho immediatamente fondato un comitato per l’abbattimento del Colosseo”. Quel confine, forse, è meglio non superarlo.


 

Al direttore - Riparte il calcetto. Le procure: e i menischi?

Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Leggo che i cosiddetti “sentinelli” di Milano nella campagna demenziale per la rimozione della statua di Montanelli innalzano cartelli in cui si definiscono, oltre che “antifascisti”, anche “laici”. A me, antico laico-liberale, sembra che queste iniziative connotino i “sentinelli” (bel gergo militaresco) piuttosto come “integralisti”. Si tratta di quell’integralismo pasticcione che non rispetta la storia, la memoria e la realtà di ieri e di oggi. Mi auguro che le autorità ambrosiane non siano corrive con tanta stupidità.

Massimo Teodori


 

Al direttore - La convocazione del presidente del Consiglio e di due ministri da parte di un procuratore della Repubblica sulla mancata istituzione di una “zona rossa” in Lombardia durante una pandemia affrontata nella confusione dei rapporti fra stato e regioni, senza chiari strumenti giuridici e contro un virus di cui si sapeva quasi nulla è la fotografia dei poteri oggi in Italia.

Gianfranco Carbone


 

Al direttore - L’improvvisa emergenza epidemiologica, dovuta al Covid-19, ha finito (temo) per infliggere il colpo di grazia agli ultimi baluardi o fermenti di resistenza di qualsiasi forma di sapere autentico, vale a dire di matrice umanistica, nella realtà della scuola, oramai asservita a logiche di segno aziendalistico e al dominio ostentato della burocrazia e delle tecnologie digitali, in funzione degli interessi più luridi del mercato del lavoro e del profitto capitalistico. Le tecnologie digitali vengono imposte come uno strumento di alienazione e di asservimento del soggetto, e non di emancipazione, come dovrebbe essere, per cui io non mi adeguo a un modello di sviluppo spacciato in termini di un “progresso” che è un falso progresso e che in realtà si rivela come una forma strisciante di schiavismo nuovo, camuffato dietro un paravento ipocrita ed elegante di modernità. Ci hanno imposto un’aberrazione, un ossimoro, la DaD, sotto la pressione psicologica di una psicosi collettiva scatenata da una grave pandemia. Il prolungarsi della didattica digitale è stato logorante ed estenuante per tutti: alunni, genitori e docenti. Ebbene, meno male che è finita! Spero che si ritorni in aula, alla scuola in presenza, in quanto è l’unica forma di scuola che, nel bene e nel male, è formativa, è viva e stimolante, è l’habitat naturale di un pensiero critico e di una crescita integrale della personalità umana, in quanto consente agli studenti di socializzare tra loro e con gli insegnanti in maniera emotiva, dialettica, vitale ed empatica. La DaD, nella migliore delle ipotesi, può servire solo a trasmettere qualche arida e insulsa nozione di tipo didascalico. Questa è la mia più sincera opinione, elaborata alla luce di un’esperienza che ho maturato sul campo. Anzi, sul monitor.

Lucio Garofalo

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