Maria Rita Gismondo

Greco scopre che ci sono arresti non essenziali. Burocrazia e futuro. Botta e risposta con Gismondo

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Continuano le rivolte in carcere, i suicidi sono notizia quasi quotidiana, il sovraffollamento è sempre quello, ai giornali interessa poco, ai politici non ne parliamo. Abbiamo scelto di trasformare i detenuti in carne da macello?

Luca Miracuori

Ho letto che due giorni fa il procuratore milanese Francesco Greco ha scritto ai pm della sua procura invitandoli a chiedere misure cautelari “solo per reati con modalità violente” o “di eccezionale gravità”. In altre parole, per tentare di tamponare il sovraffollamento delle carceri, il capo di una delle procure più importanti d’Italia ha chiesto ai suoi pm di non chiedere misure cautelari quando queste non sono strettamente essenziali. Buona idea. Ma resta un dubbio: dato che Greco ha individuato una differenza tra arresti non essenziali e arresti essenziali, non si potrebbe dire che gli arresti non essenziali andrebbero evitati non solo quando c’è una pandemia? Risposta semplice.

 

Al direttore - Ciclicamente, quando si discute di misure urgenti per il rilancio dell’economia, vengono avanzate proposte per ridurre gli spazi della tutela giurisdizionale sugli atti della Pubblica amministrazione. Come se la scarsa efficienza dell’amministrazione dipendesse dall’esistenza di un sistema di giustizia amministrativa. Un elemento fondamentale di questo sistema è rappresentato dal potere del giudice di annullare e sospendere i provvedimenti amministrativi illegittimi. La mera eventualità che ciò si verifichi viene però considerata un ostacolo alla celerità dell’azione amministrativa. Si propone quindi di ripiegare semmai su soluzioni diverse, che per esempio riducano la tutela contro gli atti amministrativi al risarcimento del danno. Rispetto a queste proposte, che abbiamo letto anche in questi giorni, sentiamo l’esigenza di rivendicare la necessità di una giustizia amministrativa in uno stato costituzionale di diritto.

1. Certamente, se si elimina la possibilità che un giudice possa annullare o sospendere una decisione amministrativa, l’azione amministrativa non viene più vanificata o ritardata e gli atti, legittimi o illegittimi che siano, producono indisturbati i loro effetti. Si può discutere sull’opportunità dell’attuale assetto della giustizia amministrativa codificato nella Costituzione, ma ciò non tocca la sostanza, cioè la necessità di una giustizia amministrativa che abbia come componente fondamentale il potere di annullare i provvedimenti illegittimi che ledono i cittadini. Né può sostenersi che la tutela del cittadino potrebbe ridursi, almeno in ampia misura (si pensi alle vertenze sui contratti dell’amministrazione pubblica, sulle grandi infrastrutture ecc.), al risarcimento del danno, peraltro in contrasto con le direttive europee: se una soluzione del genere venisse estesa rispetto a quanto già oggi ammesso, il cittadino perderebbe nei confronti del potere pubblico una tutela reale e la stessa amministrazione non avrebbe nulla da guadagnare. Si diffonderebbero iniziative basate su provvedimenti illegittimi e l’obbligo di risarcire il danno renderebbe ancora più gravoso il sacrificio per l’amministrazione che finirebbe col dovere pagare due volte, il contraente per la prestazione affidatagli illegittimamente e il ricorrente vittorioso per il risarcimento del danno causatogli. Per non dire delle facili “collusioni” e “accordi” incrociati tra i maggiori concorrenti per “spartirsi” le commesse, senza contestarne l’illegittimo affidamento, per chiedere poi altissimi risarcimenti. Senza dimenticare che il valore della legalità, della cui mancanza nell’amministrazione spesso ci lamentiamo, dovrebbe essere un valore irrinunciabile.

2. Che poi i ritardi o la mancata realizzazione di interventi pubblici nel nostro paese siano imputabili alle pronunce del giudice amministrativo è argomento frequente, ma tutt’altro che fondato. Il ricorso al giudice amministrativo concerne la fase di scelta del contraente ed è diretto a evitare che l’amministrazione affidi la commessa agli “amici”, o comunque selezionando offerte non serie o inaffidabili o irragionevolmente più onerose, o addirittura indulgendo a tentativi di corruzione. I ritardi e le inefficienze, come è ben noto a chi conosce a fondo la materia, si verificano in genere in una fase successiva all’affidamento dell’appalto o della concessione, e cioè nella fase della esecuzione. Oggi il contenzioso sull’affidamento dei contratti pubblici, in base alle norme speciali che lo regolano, è destinato a concludersi in tempi brevi, di assoluto rilievo anche rispetto ai modelli europei tra i più evoluti e, negli ultimi anni, la percentuale delle procedure di appalto che vengono bloccate dal giudice amministrativo è stimata inferiore al 4 per cento del totale di quelle bandite. Il ritardo che si verifica più frequentemente è rappresentato, almeno per le commesse di valore più elevato, dalla scelta delle stesse amministrazioni di non dar corso all’aggiudicazione fino alla pronuncia definitiva per evitare responsabilità per danni. Ciò conferma l’insostenibilità dell’opzione di modificare il sistema attuale, sostituendo la sospensione e/o l’annullamento degli atti di gara con una tutela meramente risarcitoria.

3. In questo contesto non sono condivisibili neppure proposte volte a potenziare il ruolo della Corte dei conti nei controlli sui procedimenti amministrativi per attività contrattuali e a escludere la tutela giurisdizionale nel caso in cui la Corte dei conti abbia esercitato il controllo senza formulare rilievi. In questo modo si confondono logica e ruolo della funzione di controllo e della giurisdizione, funzioni ben diverse tra loro: gli articoli 24 e 113 della Costituzione esigono che “tutti” possono agire in giudizio contro il cattivo esercizio del potere pubblico. Ma anche il recupero indiscriminato dei controlli costituirebbe un ritorno al passato, con la restaurazione di un sistema al quale da anni si è cercato di ovviare riducendo i controlli preventivi sugli atti a casi limitati, per rendere più celere l’azione amministrativa.

In conclusione, un dibattito sulla giustizia amministrativa è corretto e auspicabile, ma certo non per indebolire il suo ruolo rispetto alla garanzia dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini. L’amministrazione italiana non ha bisogno di “salvacondotti” rispetto ai suoi provvedimenti illegittimi: vi è bisogno invece che l’amministrazione sia più aderente, anche nella sua attività contrattuale, ai princìpi di legalità, che mai andrebbe contrapposta all’efficienza. Se si afferma la convinzione che molto del futuro del nostro paese dipenderà dalle capacità dell’amministrazione, la giustizia amministrativa va collocata al centro delle riflessioni anche a livello politico. L’obiettivo di sostenerla per renderla al passo con le esigenze di giustizia dei cittadini deve essere sostenuto con forza.

Guido Corso, Fabio Francario, Guido Greco, Maria Alessandra Sandulli, Aldo Travi

 

Al direttore - Scrivo a seguito dell’articolo pubblicato fra gli editoriali del vostro giornale il 5 aprile a titolo “Il silenzio degli incompetenti è d’oro. Anche il prof. Galli chiede alla Grande minimizzatrice Gismondo di tacere”. Non mi stupisce che si tratti di un anonimo articolista il non-firmatario dello stesso: ormai imperversa lo stile “taglia e cuci” delle affermazioni altrui, completamente estrapolate dal contesto di tempo e luogo, modalità perfetta sia per creare falsi miti – più spesso negativi – alimentando un arido sensazionalismo, sia per sottrarsi a un sano contraddittorio. Ed è facile così ridicolizzare chi invece la faccia ce la mette, sempre, e al confronto non si sottrae. L’affermazione: “E’ diventata popolare per non averci capito niente”, oltre che offensiva e inopportuna, denota l’ignoranza dell’autore a riguardo della professione che svolgo e del ruolo che ricopro come direttore del reparto di Microbiologia clinica presso il Sacco: per ogni chiarimento sulle competenze necessarie, invito l’autore a consultare il mio curriculum vitae sul portale dell’Università di Milano; gli si apriranno mondi di specializzazioni a lui sconosciute. Comprendo che l’impulso del “taglia e cuci” sia irrefrenabile, ma rimane la necessità di utilizzare quanto meno dichiarazioni o fatti che siano veritieri per mantenere un barlume di apparente affidabilità. Se si fosse davvero informato, avrebbe scoperto che, contrariamente a quanto da lui riportato, non sono stata la fonte scientifica dello slogan “Milano non si ferma”, dal momento che non faccio parte di nessun organo di consulenza del comune di Milano. Né si comprende da dove avrebbe estrapolato l’affermazione – non meglio circostanziata – per la quale avrei dichiarato che i “malati per coronavirus si possono contare su metà delle dita delle mani”. Anche qui lo invito a erudirsi leggendo il Report dell’Iss del 18 marzo scorso che indica nel numero di tre le persone decedute (sulle uniche 375 cartelle esaminate) esclusivamente a causa del Covid-19, senza alcuna altra patologia grave in atto. E, ancora, è curioso che – con riferimento all’importante ricerca olandese sull’anticorpo monoclonale – mi si attribuisca la dichiarazione falsa e del tutto decontestualizzata “fra meno di un mese potremmo usarlo”. Esorto l’autore a fare uno sforzo di lettura, a cui presumo non sia avvezzo, e a verificare la mia reale affermazione; vale a dire la considerazione che – premesse alcune osservazioni di natura prettamente scientifica assolutamente non trascurabili – “se l’Olanda è già a questo punto credo che in meno di un mese si potrà usarlo sui primi malati”, cioè cominciare la sperimentazione sull’uomo. Per ciò che riguarda, invece, la riportata intervista che il professor Galli ha rilasciato a Radio Capital, utilizzata a supporto del giudizio offensivo formulato nei miei confronti, mi preme ricordare che sono in ottima compagnia. Fior di colleghi nel febbraio scorso avevano sostenuto analoghe opinioni, compreso il collega Galli, ma evidentemente da una donna si pretende ben oltre la mera arte divinatoria. Quanto a quest’ultimo, mi limito a sottolineare che noi medici, oltre ad aderire al giuramento di Ippocrate, siamo tenuti a rispettare il Codice deontologico della Federazione nazionale degli ordini medici e degli odontoiatri, la cui trasgressione prevede sanzioni, fino all’allontanamento dall’ordine. In particolare, l’art. 57, troppo spesso ignorato, richiede che “il rapporto tra i medici deve ispirarsi ai princìpi del reciproco rispetto e della considerazione della rispettiva attività professionale. Il contrasto di opinione non deve violare i princìpi di un collegiale comportamento e di un civile dibattito. Il medico deve essere solidale nei confronti dei colleghi sottoposti a ingiuste accuse”, e va inteso per l’Ordine nel senso che lo spirito di colleganza comporti una solidarietà che si traduca come rispetto delle altrui opinioni professionali, che ben possono non collimare, ma che non devono divenire occasioni di attrito di carattere personale. Al contrario, devono rappresentare un’opportunità di confronto civile: nulla quanto questa contingenza ha dimostrato come, pur nel rispetto dei dati effettivi, gli approcci scientifici siano diversi. L’attività professionale medica, anche se basata su taluni elementi di certezza, può non condurre a un’unica soluzione, né a un solo corretto approccio alla malattia. Il fenomeno che stiamo vivendo, in piena e mutevole evoluzione, dovrebbe indurci a un bagno di umiltà e non a un gioco delle parti e alla rivendicazione di chi si ritiene detentore di verità assolute. La delegittimazione reciproca è squalificante sia per chi la pratica nel nostro ambito, sia per chi ama pescare nel torbido senza alcuna critica costruttiva. Il confronto sereno e trasparente porta alla scienza, l’arroganza e la lapidazione all’oscurantismo.

Maria Rita Gismondo

Risponde Luciano Capone: gentilissima dottoressa, non deve essere stupita del fatto che l’articolo fosse “anonimo”. E non per le considerazioni che ha esposto, ma per il semplice fatto che era un editoriale e al Foglio gli editoriali non vengono firmati dalla sua fondazione: non le è stato riservato nessun trattamento speciale. Riguardo alla gravità delle sue affermazioni volte a minimizzare l’epidemia, siamo in buona compagnia, visto che il “Patto trasversale per la Scienza”, composto da diversi tra i migliori scienziati italiani, le ha inviato, come certamente saprà, una diffida legale “per le gravi affermazioni ed esternazioni pubbliche sul coronavirus, volte a minimizzare la gravità della situazione e non basate su evidenze scientifiche”. La invitiamo a consultare il curriculum degli scienziati che l’hanno diffidata e a confrontarsi scientificamente con loro. Riguardo al “Milano non si ferma” non abbiamo scritto che lei facesse parte di un organo di consulenza del comune di Milano, ma che chi ha portato avanti quella campagna ha usato come fonti scientifiche anche le sue affermazioni sul fatto che l’epidemia fosse “poco più seria di un’influenza”. La sua affermazione “i malati per coronavirus si possono contare su metà delle dita delle mani” è stata pronunciata durante la puntata del 25 febbraio di “L’aria che tira”. Di seguito la citazione più estesa: “Noi di malati per coronavirus oggi ne abbiamo pochissimi, si possono contare su metà delle dita di una mano, tutti gli altri sono pazienti particolarmente immunodepressi che ovviamente avrebbero una complicanza anche da influenza. Ricordo che ogni anno per causa indiretta dell’influenza muoiono in Italia 2-3mila persone, noi stiamo parlando di 3-4 persone perché finali oncologici o già in pericolo di vita per patologie pregresse. Attenzione a non creare panico”. Se ancora oggi afferma che sono solo “tre le persone decedute (sulle uniche 375 cartelle esaminate) esclusivamente a causa del Covid-19”, non fa altro che confermare una sua non estraneità al processo di Grande minimizzazione. Quanto alla presunta cura trovata in Olanda, “somministrabile già fra un mese”, come scriveva il giornale su cui lei ha una rubrica quotidiana e che ha raccolto il suo parere su questa ricerca, lei ha detto che sarebbe stata utilizzata – ovvero sperimentata sull’uomo – in meno di un mese. Dato che quell’articolo-intervista dal titolo “Trovata la cura che batte il virus” risale al 15 marzo, siamo esattamente a “meno di un mese” dopo. Lei ha notizie dall’Olanda di una sperimentazione sull’uomo dell’anticorpo monoclonale di cui parlava? A noi non risulta nulla del genere. Infine, per quanto riguarda il giudizio che uno scienziato di livello internazionale come il prof. Massimo Galli ha espresso su di lei, non dovrebbe rivolgersi a noi che lo abbiamo semplicemente riportato, ma al suo superiore, visto che il prof. Galli è il responsabile delle Malattie infettive del suo stesso ospedale. Buon lavoro e in bocca al lupo per tutto.

  

Al direttore - Noi amiamo gli scrittori malati di letteratura prima di tutto. Vuol dire che almeno che non accoppi sua madre per la strada (e allora c’è il codice penale, ma nessuno ci impedirà di leggere i suoi libri anche quando è in carcere) la moralità di uno scrittore si basa esclusivamente sul suo rapporto etico con la pagina. Ho conosciuto scrittori che nella loro vita privata erano più tristi e meticolosi e borghesi di un impiegato frustrato. E scrittori niente affatto disadattati. Eppure erano malati di letteratura e quando leggevi i loro libri sentivi che il dèmone era lì a un passo col suo ghigno beffardo nero sentimentale avventuroso umoristico malinconico. Soprattutto amorale. Perché non si può scendere nel cratere dell’animo umano col pregiudizio ideologico della moralità. Lo scrittore porta alla luce frammenti dimenticati rimossi anche odiosi del nostro intimo. E non lo fa con astratte idee generali ma calandosi in quel preciso atroce momento in cui le esistenze rivelano se stesse. Perfino la più apparente pettegola di matrimoni e affari come Jane Austen si rivela una raffinata aguzzina delle nostre più recondite aspirazioni. E Dickens lo scrittore sentimentale anche per bambini Manganelli lo definiva uno scrittore nero che soffre di allucinazioni sentimentali. E che dire di Kafka, Roth o Gargantua e Pantagruel… eppure io penso che tutta la grande letteratura sia in qualche modo consolatoria. Perché non c’è consolazione migliore che affidare a un altro, un altro da noi, il compito immane doloroso ed eroico di sbatterci davanti agli occhi la verità. Qualsiasi essa sia.

Paolo Repetti

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