(foto LaPresse)

Sanders vs Trump? Buona notizia: almeno uno dei due perde

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Economia è paziente zero virgola.

Giuseppe De Filippi 

 


Al direttore - Dice David Brooks, sul New York Times, che ci sono buone possibilità che il candidato democratico che andrà a sfidare Donald Trump alla fine di quest’anno sarà un altro populista: Bernie Sanders. Ci dobbiamo preparare a svenire?

Luca Marconi 

 

Quando c’è un populista di destra che si ritrova ad affrontare un populista di sinistra, la buona notizia, per gli antipopulisti, è che uno dei due populismi perderà di sicuro.

 

 


Al direttore - Non si può che concordare sull’esigenza di non sottrarsi al cambiamento esposta nell’editoriale sull’operazione Intesa-Ubi, pubblicato sul Foglio del 21 febbraio. Naturalmente, il cambiamento non può e non deve travolgere i caratteri che sono propri di una banca del territorio. Realizzare, nel credito, un campione paneuropeo è importante, ma il metro per giudicare è sempre quello della migliore corrispondenza, che si consegue (o no) con l’aggregazione, alla ragion d’essere di una banca: sostenere in modo più efficace imprese e famiglie e tutelare meglio il risparmio. Diversamente si sarebbe un “campione senza valore”. Poi l’editoriale definisce tecnicamente ostile l’offerta di Intesa. Ma se, alla fine delle diverse e complesse valutazioni dovesse effettivamente risultare tale, allora sarebbe necessario che il consiglio di amministrazione di Intesa decidesse se dare seguito o no a una Ops giudicata ostile. Ricordo che allorché, nel 1999, le Opa del S. Paolo su Banca di Roma e del Credit sulla Comit furono giudicate ostili dalle banche – bersaglio, mentre si rilevavano dalla Vigilanza alcuni gravi errori procedurali – questi istituti “offerenti” decisero di non sottoporre più ai propri consigli la decisione sulle operazioni valutate come ostili e, quindi, desistettero dalle rispettive iniziative. Non è un parallelismo, ma soltanto un “pro memoria”, pur nella consapevolezza che da allora sono trascorsi oltre 20 anni. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia 

 

Tu chiamale se vuoi trattative, oh yes.

 


 

Al direttore - Andrea Ichino, nel suo articolo “Perché la valutazione dei professori e della ricerca universitaria è necessaria”, afferma di preferire il modello di valutazione americano a quello europeo, giustificando i suoi gusti sulla base che “sarebbe impossibile – in Italia – trovare un accordo sui criteri da utilizzare per valutare la ricerca”. Ora, Ichino mi insegna, i paragoni e i confronti tra modelli bisogna farli a fondamenti condivisi. Non si può importare un frammento di un modello e innestarlo in un altro totalmente diverso. Il modello di funzionamento della ricerca universitaria negli Usa è fatto di enormi finanziamenti (pubblici e privati), di criteri di reclutamento e di meccanismi di incentivi totalmente dissimili rispetto a quelli del modello italiano. Come si fa a estrapolare un metodo di valutazione a prescindere dal contesto in cui viene ad essere applicato? Come si fa a preferire un modello di valutazione a un altro sulla sola base presunta di una mancanza di accordo sui criteri con cui valutare? E’ difficile trovare qualcuno che a ragione possa essere contrario a forme di verifica della qualità e della quantità della ricerca: la ricerca è necessario venga valutata perché migliori di livello. Tuttavia, gli indicatori (bibliometrici), la cui natura è “soggettiva”, devono essere “raffinati” e soprattutto vanno affiancati dalla valutazione esperta dei “pari” per limitare la possibilità, in Italia ben presente, che si generino paradossi e storture.

Ernesto Savaglio

Di più su questi argomenti: