Andare oltre l'accordo di governo? Idee per una sinistra non ostaggio del grillismo

Al direttore - Permettimi di esprimere qualche perplessità sul tuo editoriale di lunedì. Tu vedi un processo analogo, di ricostruzione di identità, nelle rispettive aree politiche, ad opera dei due Matteo. Non sono così ottimista. Per ora tra la piazza di Roma e la Leopolda c’è una differenza non di dettaglio o marginale: l’una, la piazza, ha segnato un riavvio del centrodestra. E su una linea di de-trucizzazione. Tutta da verificare, certo; l’altra, la Leopolda, ha sancito la nascita di un nuovo partito. Che, come tu stesso affermi, cerca il suo spazio politico ed elettorale in opposte direzioni. Ma anzitutto (visto che da lì viene) nel bacino elettorale del Pd. Non è la stessa cosa quindi: l’una, la piazza, semplificando, ha un segno costruttivo ed elettoralmente, pagante; l’altra, purtroppo, è de-strutturante nelle intenzioni. Direi, perfino, inevitabilmente. E può ridursi al solo effetto, chiaro nei sondaggi, di indebolire il Pd. Cioè il partito di riferimento del proprio campo. Mi dirai: ma Renzi non è più nel “campo”, parla fuori e dentro di esso. Non è così, caro direttore. Stando nel governo con tutto il centrosinistra, anzi, avendocelo portato, Renzi condivide, giocoforza, i destini di quel campo. Avrà molta difficoltà, come già si vede, a disegnarsi ora fuori e ora dentro il campo, Sarà, purtroppo per lui, la sua spina e croce politica. Continuo a pensare che avendo portato, come rivendica, il Pd nello “strano governo” sarebbe stato logico, ragionevole e giusto che Renzi continuasse a perseguire il suo disegno di 10 anni fa: trasformare il Pd in una forza non più di sinistra, o cedevole al populismo, ma di centrosinistra e a vocazione maggioritaria. Contrastando dall’interno i cedimenti al populismo. Forse che il Pd non era più una forza contendibile? Non scherziamo. La scissione è stata, di per sé, induzione all'errore. Tanto più se si ingenera il sospetto che proprio quello, l’errore, è ciò che si vuole per essere attrattivi verso iscritti ed elettori del Pd. La contesa è rafforzata dal fatto singolare che Italia viva nasce come separazione dal Pd ma condividendo con esso il governo. Così le cose si complicano soltanto. Le scissioni storiche del Dopoguerra nascevano tutte sul tema del governo e delle alleanze. Era più chiaro e definito. Oggi è diverso: Italia viva e Pd dovranno competere ma condividendo il governo. Un po’ surreale. E’ evidente che questo accrescerà sia le fibrillazioni distruttive nel governo, sia una velenosità e concorrenza più accentuata tra i due partiti. Giocoforza. Una scissione che non è una separazione di campo ma la condivisione del campo è, per forza, un duello, tra vasi comunicanti: per esistere, l’una delle due forze deve svuotare l’altra. E’ inevitabile. Tu, mi sembra di capire, non auspichi la fine del Pd né la sua grillizzazione. Io sottoscrivo. Ma trovo per questo ingiusti e, in qualche caso, inappropriati i cinque richiami critici che rivolgi al Pd. Sacrosanta quello sulla prescrizione, su cui non mi dilungo. Discutibili invece gli altri. Mi soffermo, consentimi, su quello più politicamente consistente: la critica al Pd di aver trasformato “il patto con i 5 stelle in un accordo strutturale”. Che differenza ci potrà mai essere, tra forze che stanno in un governo, senza scadenze prefissate, tra “patto” e “accordo”? La parola “strutturale”? Si può dire che un governo di legislatura non contiene un “accordo strutturale”? Chi ha voluto la bicicletta, anzi si intesta il patto di governo, non può chiedere oggi di non pedalarla, di non farlo valere come “accordo”. Che senso ha? Che critica è a Zingaretti? Non sarebbe una richiesta di buon senso ma un appello al suicidio. Starei attento, infine, a dire che la vocazione maggioritaria dipenda da un articolo dello Statuto. Io non voterò quell’articolo in questione, ma non scherziamo: la “vocazione maggioritaria” dipende dalla politica che fai. E soprattutto, dipende dal fatto che il Pd resti una “forza autonoma”. E consistente. Solo un partito grande può essere a “vocazione maggioritaria”. Serve ancora questo partito all’Italia? Zingaretti non è vero che ha reagito alla scissione con senso di liberazione, come si insinua, per debordare a sinistra o verso i 5 stelle. Tutt’altro. Ha annunciato un congresso. E’ la risposta alternativa a un irragionevole e demenziale “scioglimento” del Pd nei 5 stelle, come si accusa a sproposito. Anzi è il segnale di volontà di difesa della sua identità. E l’unico rilancio ipotizzabile del Pd è quello della vocazione maggioritaria. Che non significa solo articoli dello statuto, ma due cose essenziali: non schiacciarsi sulla sinistra o sul populismo grillino, mantenere l’autonomia del Pd e non delegare a nessuno l’offerta politica a una fascia di elettorato distribuito, tra astenuti o votanti perplessi di altri partiti, che per comodità chiamiamo centrista o moderato o liberale. Conta il concetto, non il nome.

Umberto Minopoli

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