Vivian Gormick e le passeggiate a New York con sua madre, campi di amorosa e rabbiosa battaglia

Annalena Benini
Questa è la storia lucente e spietata di un amore. Fra una figlia adulta e sua madre, fra una madre che invecchia e la scrittrice Vivian Gormick, che in un memoir pubblicato negli anni Ottanta in America ha messo a nudo i grovigli della crescita, del distacco e dell’unione fra due donne che passeggiano insieme, spesso litigando, per le strade di New York. 

“Non capisci?” mi implora piano. “L’amore era tutto quello che avevo. Che cos’altro avevo? Niente. Non avevo niente. E che cosa avrei avuto in futuro? Che cosa avrei potuto avere? Tutto quello che tu dici della tua vita è vero, io lo capisco quanto è vero, ma tu hai avuto il tuo lavoro, tu hai il tuo lavoro. E hai viaggiato. Dio mio, hai viaggiato! Sei stata in mezzo mondo. Che cosa avrei dato per viaggiare! E invece avevo solo l’amore di tuo padre. Era l’unica cosa bella della mia vita. Così ho amato il suo amore. Che cosa avrei potuto fare?”
Vivian Gormick, “Legami feroci” (Bompiani)

 

Questa è la storia lucente e spietata di un amore. Fra una figlia adulta e sua madre, fra una madre che invecchia e la scrittrice Vivian Gormick, che in un memoir pubblicato negli anni Ottanta in America, diventato di culto e ripubblicato adesso da Bompiani con la prefazione di Jonathan Lethem, ha messo a nudo i grovigli della crescita, del distacco e dell’unione fra due donne che passeggiano insieme, spesso litigando, per le strade di New York. Ricordano il passato, discutono sul presente, si rinfacciano l’esistenza e bevono caffè. Intanto vivono, Vivian Gormick diventa ciò che è, scopre di essere una scrittrice, inciampa nella vita sentimentale, si ricorda di quando viveva nel Bronx, dai sei ai ventun anni, in un edificio pieno di donne. Prostitute, anche. “Degli uomini quasi non ho memoria. Ce n’erano tantissimi, ovvio – mariti, padri, fratelli – ma io mi ricordo solo delle donne. Me le ricordo tutte sboccate come Mrs Drucker o fiere come mia madre! Furbe, incontrollabili, illetterate, scappavano dalle scale antincendio, andavano dai loro amanti, litigavano con i mariti, li buttavano fuori casa, prendevano la metropolitana. Invece la madre di Vivian era non solo felicemente sposata, era “infallibilmente sposata”. “Fidati, che se non fosse per amore di papà”, era la sua frase preferita.

 

L’amore, nella vita di questa donna, non era solo amore, era un sentimento di ordine più alto, di natura spirituale, di stampo morale. Ogni prova del contrario, gli amori insufficienti oppure schiantati dalla realtà,  le amiche infelici, la figlia inquieta, non erano ammessi al tribunale del suo intelletto. Vivian pensava: è ridicolo. Una vita intera solo per l’amore, è ridicolo. Lei invece lotta per l’indipendenza, per l’istruzione, per la libertà, e ancora non sa che è una lotta per l’indipendenza da sua madre. Camminano insieme risalendo la Lexington, arrivano oltre la Cinquantesima strada, ricordando il passato, il padre non c’è più da molti anni e loro due sono sempre una famiglia, tutto quello che resta perché niente altro è stato costruito: litigiosa, con brevi armistizi e rabbie bollenti, e adesso stanno entrambe in piedi davanti a una vetrina scintillante. Sono così diverse, eppure ugualmente confuse. “Siamo consapevoli della nostra comune incapacità, e diventiamo quello che siamo spesso: due donne di inibizioni curiosamente simili, legate insieme dal fatto di aver vissuto quasi tutta la vita l’una nell’orbita dell’altra”.

 

Dentro quella vetrina non sono più madre e figlia, sono due donne abbattute, una vedova e una divorziata, nate sotto una cattiva stella, perennemente incapaci di costruirsi una vita familiare. Specchiarsi l’una nell’altra non fa così bene, e infatti Vivian diventa tristissima, sconfitta, non riesce più a parlare. Sua madre, arguta, feroce, con l’attitudine a comandare, ebrea convinta di far parte di un popolo che periodicamente viene distrutto, lotta e rinasce, le dice: “Ricordati. Tu sei mia figlia. Sei forte. Devi essere forte”. “Oh, mamma!” sbotto, e tutta la mia esistenza impaurita, febbrile, libertaria mi monta dentro e mi si riversa sulla pelle morbida del viso, il viso che mi ha dato lei”. Sono di nuovo madre e figlia. 

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.