I fondi scommettono contro Friedman

Al direttore - A Bridgewater, dopo aver letto il libro in cui Alan Friedman elogia il programma economico grillino, hanno deciso di scommettere contro l’Italia.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - L’Eroe racconta ai giornaloni di essere stato escluso dalle liste del Pd “perché contrario all'inciucio con Berlusconi”. Premesso che quello sarebbe un inguacchio perché inciucio significa pettegolezzo e non compromesso deteriore e preso atto che chi ha problemi con l’italiano non può sapere il napoletano, va ricordato un piccolo dettaglio. Nel febbraio del 1995 l’Eroe formalmente ancora appartenente all'ordine giudiziario, pochi mesi dopo aver indagato Berlusconi manifestando pure l'intenzione di “sfasciarlo”, prese la macchina per andare due volte a Arcore. Voleva che il leader di Forza Italia gli proponesse un incarico politico, in attesa di elezioni che poi non ci furono a breve. Questo per la precisione in modo da spiegare a chi allora non c'era che cosa fu la falsa rivoluzione di Mani pulite di cui lui fu l'uomo simbolo.

Frank Cimini

 


 

Al direttore - L’inchiesta del Foglio, che sta documentando la vera e propria truffa politica che sta dietro al Movimento 5 stelle, dovrebbe preoccupare tutti coloro che hanno a cuore le garanzie democratiche del nostro paese. Invece viene presa sottogamba. Ci siamo (giustamente, dico io) scandalizzati per anni per il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi, ma davanti allo scenario orwelliano e furbetto che viene fuori da questo “esperimento” chiamato M5s c’è molta sottovalutazione. Certamente le menzogne di Davide Casaleggio indignano: fino a un mese fa giurava che la Casaleggio Associati non c’entrava nulla con la fondazione Rousseau, e ora grazie alle carte del Garante della Privacy abbiamo avuto conferma che la sua società ne gestiva la piattaforma. Certamente inquieta come dietro un pulviscolo di bufale, di neo conformismo, di lassismo mediatico si celino strategie ben definite che fanno a pezzi la trasparenza e la legalità. La democrazia diretta, sì, ma diretta da lui, Davide Casaleggio. La verità più allarmante che salta fuori dall’indagine del Foglio, però, è un’altra: grazie al Movimento 5 stelle Davide Casaleggio ha trovato un posto di lavoro dorato e blindato che gli permetterà di gestire e guidare uno dei maggiori partiti italiani, senza essere passato da alcuna elezione, ma avendolo ricevuto in eredità per diritto dinastico. Grazie alle regole, regolette, cavilli e articoli statutari imposti alla nuova Associazione che sta sopra il M5s (la terza in pochi anni, caso senza precedenti), Casaleggio potrà arricchirsi e gestire milioni di euro di soldi pubblici che derivano dagli stipendi dei futuri parlamentari del Movimento 5 stelle. Ogni parlamentare M5s, infatti, sarà obbligato, a meno di non incorrere nella sanzione da centomila euro, a dare trecento euro al mese alla creatura di Casaleggio, che quindi in cinque anni incasserà circa 4 milioni di euro. A cosa servono tutti questi soldi? I parlamentari del Partito democratico contribuiscono economicamente alle casse del partito ma si tratta, per l’appunto, di un partito politico, uno strumento democratico definito dalla Costituzione, obbligato alla trasparenza e alla pubblicazione dei bilanci, nel caso del Pd controllati anche da una società esterna. Ma della Fondazione Rousseau cosa sappiamo? Nulla, se non che il presidente, amministratore e tesoriere è e sarà sempre, finché lo vorrà e deciderà, lo stesso Casaleggio jr. La Fondazione Rousseau ha già incassato in questi mesi circa cinquecentomila euro, ma nessuno sa a cosa siano serviti e come vengano usati. Si sa solo che paga, come unico dipendente, il signor Pietro Dettori, dal cui pc passano tutti i dati sensibili del Movimento 5 stelle ed è stato anche inserito nel comitato elettorale di Di Maio. Perché tutto questo potere? Perché non hanno candidato lui alle elezioni? E come fanno giornalisti come Emilio Carelli, Gianluigi Paragone, Dino Giarrusso, neo candidati M5s, a non porsi queste domande? Il passo indietro di Beppe Grillo, che si tiene alla larga dal duo Casaleggio-Di Maio e ha tagliato fuori la Casaleggio Associati dalla gestione del suo blog, è abbastanza eloquente e indicativo, ma come fa il fondatore del Movimento 5 stelle ad accettare che il suo progetto politico diventi una semplice piattaforma per fare soldi e lobbying? Anche perché le eventuali rivalse in sede civile e sanzioni del Garante arriveranno a lui.

Michele Anzaldi

 


 

Al direttore - Poiché l’inflazione di fondo nell’Eurozona è salita in gennaio soltanto all’1 per cento (dallo 0,9 di dicembre), come ricorda l’articolo di Brambilla sul Foglio del 1° febbraio, è vano pensare, come fanno i falchi alla Jens Weidmann, che possa essere promosso, prima della prevista data di settembre, un rientro delle operazioni non convenzionali di politica monetaria della Bce, in specie del “quantitative easing”. Valgono o non valgono le regole? Se si continua a essere distanti non poco dal target fissato “intorno ma sotto il 2 per cento” non ritengono i falchi tedeschi sempre così attenti agli aspetti giuridici – e i loro satelliti – che il “tapering” costituirebbe una grave violazione del mandato per il mantenimento della stabilità dei prezzi che è assolto solo quando si consegue l’accennato target e da esso non ci si discosta significativamente né al disotto, né al disopra? Per di più si tratta dell’unico mandato a cui la Bce deve adempiere. Né il livello anzidetto può essere accantonato mentre il “gioco” è in corso , né può essere solo parzialmente considerato tenendo conto del passaggio da una fase di ripresa a una, almeno così sembra, di espansione dell’economia. D’altro canto, è proprio una crescita più sicura che rende “buona” l’inflazione auspicata a fronte di quella che aumenti in una fase di significativo rallentamento, per non dire di recessione. Naturalmente, sarebbe un errore grave far leva, per esempio in Italia, sull’impossibilità per la Bce, innanzitutto giuridica, di eliminare le operazioni non convenzionali in tutto o in parte per rallentare o accantonare lo sviluppo delle riforme strutturali o imperversare con il “libro dei sogni” dei programmi elettorali. Mercoledì scorso, Antonio Fazio, concludendo un convegno sull’Europa, l’economia e le banche, ha tenuto una “lectio magistralis” facendo parlare i numeri, le analisi, i documenti e ha messo in evidenza, “per tabulas”, i rischi di deriva per la mancanza o l’insufficienza di programmi di politica economica che rappresentino un salto di qualità nella produzione, nel costo del lavoro, nell’occupazione, nella produttività e nella competitività. Si potrà mai condurre un dibattito pubblico di questo tipo, di carattere certamente politico, ma prima ancora ferreamente rispettoso dei numeri e delle analisi rigorose e comprovate? Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

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