Lo Stato e il virus

La giustizia ferma, il Parlamento quasi, l’unità di comando mancata. Come ha reagito il sistema pubblico all’epidemia

Facciamo un bilancio: come ha reagito il sistema pubblico alla pandemia e alla successiva crisi economica?

Innanzitutto, c’è stata una forte concentrazione di Stato e regioni sulla pandemia, trascurando tutto il resto. Lo Stato, per il resto, è “andato in vacanza”. Il Parlamento ha funzionato a un decimo del suo ritmo. Il governo ha trascurato tutti gli altri problemi. La giustizia si è fermata. L’amministrazione ha rinviato le decisioni. I dipendenti pubblici sono rimasti a casa, con quel che comportava il fatto che il telelavoro non era stato programmato; la digitalizzazione amministrativa carente; obiettivi, risultati e catene di lavoro nelle pubbliche amministrazioni poco definiti. 

 

Il centro motore del sistema è nel Parlamento-governo.

La legiferazione parlamentare, già scarsa, è ancora diminuita. Il controllo parlamentare dell’esecutivo, funzione poco coltivata abitualmente, è divenuto quasi non esistente. Non legiferando il Parlamento, il governo ha infilato ogni specie di contenuti nei numerosi decreti legge. Quel che è peggio, lo stesso governo come organo collegiale ha lavorato ben poco, mentre tutta l’attenzione si è accentrata nel suo presidente, il quale, invece di curare progetti e loro esecuzione, dirigendo l’attività del collegio, da un lato si è interessato di problemi troppo minuti, che entravano nella competenza del ministro della Salute, dall’altro si è impegnato principalmente nel mantenere aperti canali comunicativi con la televisione e i giornali. La presenza ha sostituito l’azione, lo spettacolo i programmi. Con la conseguenza che, in pochi mesi, la stessa forza politica, il M5s, è passata dallo sbandierare la democrazia diretta al sostenere l’“uomo solo al comando”. E con l’altra conseguenza che è mancata l’unità di comando ed è divenuto persino incerto chi doveva fare che cosa. Questo è dimostrato dall’inchiesta della procura di Bergamo, diretta prima alla regione, poi allo Stato.

 

Tutto – come al solito – finisce nelle mani delle procure.

In questo caso, con implicazioni ulteriori. Le grandi istituzioni dirette ad assicurare l’eguaglianza sostanziale (scuola, sanità, lavoro, pensioni) non tollerano diversificazioni, perché altrimenti diventano fattori di diseguaglianza. Quindi, l’incerta collocazione della competenza a provvedere, tra Stato e regione, ha condotto a una contraddizione, accentuata dal fatto che una buona parte dei vari decreti legge e Dpcm si concludeva con l’attribuzione di compiti esecutivi, di controllo e sanzionatorio ai prefetti. Quindi, il sistema binario, su cui Massimo Severo Giannini ha scritto belle pagine, ha ripreso quota. Con l’ulteriore conseguenza di non assicurare il coordinamento territoriale (regioni e prefetti non dialogano, se non altro per il diverso ambito territoriale delle loro competenze). Questo è un argomento che andrebbe esaminato, una volta usciti dalla fase dell’emergenza: le regioni hanno comportato la collocazione di uno strato di personale politico-elettivo nell’ambito della linea che lega centro e periferia. Insomma, si è evidenziata una periferia non dialogante, divisa. Questo ha avuto conseguenze sui tempi di reazione, che non sono stati lenti, ma hanno mostrato assenza di prontezza.

  

Ma ora la vera protagonista è divenuta l’Unione europea.

Che, da accusata, ha acquisito un ruolo centrale. E ha dimostrato capacità di reazione notevoli, specialmente nel dotarsi di ciò che le mancava, il potere di spesa, sia pure ricorrendo alla raccolta sul mercato piuttosto che alla imposizione fiscale (anche se questa non è esclusa).

  

E a paragone con altri paesi? E’ vero che i regimi autoritari hanno reagito meglio alla crisi provocata dalla pandemia?

Conclusione errata. Come insegna anche la storia, vi sono democrazie e regimi autoritari che hanno reagito in tempi rapidi e con efficacia, mentre vi sono democrazie e regimi autoritari che hanno battuto la fiacca. Insomma, la linea di distinzione non corre tra regimi democratici e regimi autoritari, che si trovano da una parte e dall’altra.

 

Che abbiamo imparato, in conclusione?

Che non conviene farsi trovare impreparati. Che è meglio avere istituzioni più efficienti e classi dirigenti capaci, per fronteggiare situazioni eccezionali, altrimenti il costo che si paga è molto alto. Un buon motivo per ripensare le strutture portanti del nostro esecutivo e dell’apparato giudiziario.

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