Migranti a Salisburgo (foto LaPresse)

Notti migranti

Umberto Silva

Accogliere i rifugiati è fare quel che non abbiamo fatto o non potemmo fare un tempo

Le meravigliose notti che mai finiscono, sicché quando appare l’alba m’innervosisco all’idea di dovere affrontare un giorno carico di tutto, come il guardarsi allo specchio e sentirsi quella cosa là, non tanto il giorno che sopravviene quanto la notte che è passata, lei con tutti i suoi splendori. Essi, gli splendori, sono l’Inferno, con cui si lotta e ci si avvince, e si vince e si perde, ma che sconfitte meravigliose; l’Inferno, la sua oscura trama, sono quanto di più: alle due della notte, un’ora decente per peccare, fai partire la violenza e il riso, sai che puoi fare molto di più, che è appena cominciato un bel calvario, e come dei preti il cilicio di un tempo i peccati ti forniscono la penitenza, sei più in forma che mai verso le quattro, e alle cinque passeggi per le stanze di casa, bevi un po’ di Rum guardi il cielo che ti guarda e ride, un cielo che è più inferno che mai, essendo quasi chiaro ovvero fasullo. E tu lo sai che quella gioiosa meraviglia è il colmo dell’Inferno, e lo respiri tutto, anche soprattutto quella terra bagnata, e sospiri, sei terribilmente santo, pronto a regalare quel che ti rimane a tutti coloro che ti passano davanti, devi pur fare qualcosa di giorno, maledizione, senti come cammini per le tristi strade, come un pazzo assetato di notti, e quelle auto, quelle facce, quel ghigno, e siamo da capo, sono trafficanti? O brava gente che darà ai migranti la forza di vivere?

      

Ha partorito in Libia un bambino che è nato morto, tre giorni dopo lei l’ha seguito. I feroci trafficanti di una vita che tenta di sfuggire alla loro morte hanno caricato il corpo della madre sul barcone e hanno intimato ai migranti: “Buttatelo a mare e andate a morire anche voi nel Mediterraneo”. Ma i Cari Numi si sono rifiutati, vegliando il corpo della giovane donna. Sanno i migranti che tanti di loro vanno a morire? Sanno che la loro migrazione è misteriosa, e se comincia con il cielo spesso finisce in quel mare di cui non si sa la natura, divina o assassina? Penso di sì, penso che i migranti sappiano, anche se non tutto; certamente sanno che non possono restare in una triste patria, ad aspettare nella fame il coltello, sanno anche che i bambini sanno, e alla bocca impastata di sabbia preferiscono giocare sulla nave affollata e assassina, quel trabiccolo di morte che ai loro occhi pare un Eden. Anche noi sappiamo che molti di loro sanno e molti di loro moriranno; sappiamo anche che qualcosa di buono facciamo, di riffa o di raffa.

     

Tra le Sue braccia

Così vanno le cose, potrebbero andare meglio o peggio, potrebbero andare o restare immobili, aspettando una morte qualsiasi. Ogni giorno sappiamo cosa accade, e alcuni di noi si preparano a non tenerne minimamente conto, altri a rattristarsi, altri a sbuffare, altri a sospirare, altri a darsi da fare, altri a bestemmiare, ad alzare le spalle, altri a cercare dell’altro, qualcosa che aiuti, o che consoli, o che ci distragga, c’impegni, ci salvi, o ci uccida, un poco, partecipi a nostra volta, un poco, quel poco che ci fa vivere, e un po’ morire. Adveniat regnum tuum, ma già noi sappiamo che è venuto, il Padre Nostro; Lui che nelle infinite notti ci fa sognare di esistere, di vivere, di morire tra le Sue braccia.

   

E quel bambino morto e quella madre che s’inseguono nel mare e nella fossa? Sono stati uccisi tanti ebrei, tanti martiri, e non muoiono mai. S’aggirano nelle nostre teste, siano esse prese dalla pietà o siano tormentate da una orribile voglia di non saperne, di buttarle a mare, il tenebroso mare di Auschwitz. Accogliere i migranti è fare quel che non abbiamo fatto o non potemmo fare un tempo, e cosa sia questo tempo e cosa noi siamo, questi migranti e questo Dio, mai lo sapremo, sapendolo.

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