Masterplan a sud

Nicola Rossi
Di mance fiscali è lastricata la via della stagnazione. Si aggrediscano cultura e amministrazione

Il recente incontro dei presidenti delle regioni meridionali – nonostante che, per il momento, si sia tradotto solo in posizioni di retroguardia (ad esempio, il “no alle trivelle”) – è fatto, potenzialmente, di grande rilevanza. Tutte le questioni meridionali di una qualche rilevanza hanno carattere sovraregionale: dalle infrastrutture ferroviarie (non è sovraregionale la Napoli-Bari?) a quelle stradali (non lo è la Salerno-Reggio Calabria?), dalle reti logistiche (con quanti e quali porti si vuole provare a catturare il nuovo traffico mediterraneo? Con quali interconnessioni logistiche?) alle reti della comunicazione, alla collocazione dei poli turistici. Riscrivere la politica per il mezzogiorno in Italia dovrebbe partire di qua: dal riconoscimento della inadeguatezza oggettiva della dimensione regionale per affrontare le questioni del mezzogiorno e dal suo superamento. Se i presidenti delle regioni meridionali lo comprendessero e ne accettassero le conseguenze, avremmo fatto un bel passo avanti.

 

Un Masterplan che volesse veramente cambiare verso alle politiche per il mezzogiorno dovrebbe poggiare su questa constatazione ormai banale alla luce del fallimento di vent’anni di politiche incentrate sulla dimensione regionale o, peggio, locale. E forse, più che chiedere margini di flessibilità che non hanno ragion d’essere per politiche fiscali in disavanzo, il governo italiano dovrebbe impegnare tutta la sua energia e tutta la sua credibilità per chiedere invece di essere messo in grado di spendere al meglio le risorse di cui dispone. Si tratta di convincere la Commissione europea che il mezzogiorno nella sua interezza è una grande area largamente omogenea i cui problemi possono essere affrontati solo non frantumandoli su una scala che non ne consentirebbe la soluzione. E’ impensabile voler dotare un condominio del riscaldamento centralizzato e poi distribuire a ogni condomino un po’ di risorse per risolvere il problema: si finisce solo per moltiplicare le stufette elettriche. Con tutto il rispetto, il caso meridionale non è molto diverso.

 

Se da parte delle regioni meridionali si fosse finalmente raggiunta questa consapevolezza, sarebbe cosa non da poco. E se da parte del governo si assumesse l’impegno a muoversi in questa direzione, l’inversione di rotta sarebbe netta e visibile.

 

 

[**Video_box_2**]Un effetto del contratto collettivo nazionale

 

Rimarrebbero da affrontare due temi che dovrebbero costituire il campo di gioco ideale per la classe politica oggi al governo. Primo, un problema culturale: per quanto meno di ieri, circola ancora la bizzarra tesi dei “tanti mezzogiorni”: un caso più unico che raro in cui si è cercato di elevare l’eccezione al rango di regola. Da questa favoletta è bene sgomberare il campo. Non dovrebbe essere difficile: la realtà degli ultimi vent’anni si è incaricata di ridicolizzarla.

 

Secondo, un problema amministrativo: la strada migliore per scrivere un Masterplan inutile (se non dannoso) è quella di chiederne la redazione alle stesse strutture amministrative centrali che hanno definito, nella teoria e nella pratica (spesso in buona fede ma anche con una pervicace carica ideologica) le fallimentari strategie dell’ultimo ventennio. Anche qui, chi se non questo governo potrebbe in questo campo credibilmente ripartire da zero? Non solo con nuove idee ma affidando le nuove idee a una classe amministrativa fresca e lontana mille miglia dalle scelte degli ultimi vent’anni.

 

Se in molti aspetti, il Masterplan per il mezzogiorno deve elevare il livello dell’intervento (dal livello locale al livello sovraregionale, inevitabilmente sottraendo competenze alle istituzioni regionali e auspicabilmente facendolo con il loro accordo), c’è un aspetto, invece, in cui la direzione di marcia corretta è quella opposta. La politica deve scegliere: se vuole mantenere i caratteri attuali al contratto collettivo nazionale, deve accettare la presenza di significativi flussi migratori di giovani meridionali dal mezzogiorno al centro-nord (e di giovani extracomunitari verso il mezzogiorno) e deve, allora, organizzarne civilmente l’accoglienza. Se si vuole, invece, che ai giovani meridionali venga data una opportunità di lavoro nel mezzogiorno, è bene sapere che bisogna passare per un rafforzamento progressivo della contrattazione aziendale fino ad arrivare a un contratto collettivo nazionale che abbia contenuto esclusivamente normativo. Lamentarsi dell’esodo dei giovani meridionali e difendere il totem del contratto collettivo nazionale equivale a desiderare la botte piena e la moglie ubriaca.

 

Data la tensione riformatrice dell’attuale governo, il Masterplan è forse l’ultima opportunità per affrontare le due questioni citate come meritano e di scegliere. Per il mezzogiorno è già forse troppo tardi ma disperdere anche le tenui speranze sollevate in prima persona durante l’estate dal presidente del Consiglio, limitarsi ad appostare un po’ di risorse nella legge di Stabilità senza mutare l’impostazione di fondo dell’intervento pubblico, equivarrebbe a chiudere definitivamente il discorso.

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