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un foglio internazionale

O Greta o Gerusalemme. L'attivismo interscambiabile di un mondo privo di significato

L’icona svedese che odia Israele è il simbolo del vuoto che attanaglia molti europei. L'articolo della giornalista Annika Hernroth-Rothstein sulla Free Press 

"Il mio paese è noto per i mobili Ikea, qualche tennista e, naturalmente, per gli Abba” scrive sulla Free Press la giornalista svedese Annika Hernroth-Rothstein. “Oggi, il nostro prodotto d’esportazione più famoso è Greta Thunberg, che era stata accettata da molti come una sorta di coscienza mondiale: una ragazzina che diceva la verità al potere. Thunberg è un fenomeno. Ma, cosa ancora più importante, è un caso di studio di ciò che è andato storto in Svezia e nel resto d’Europa negli ultimi decenni. E’ una bambina perduta in un continente perduto, entrambi alla disperata ricerca di uno scopo.

 

         

 

Ottant’anni fa, sulla scia della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto, gran parte dell’Europa giaceva devastata. Con l’inizio degli sforzi di ricostruzione, si è aggiunta una resa dei conti ideologica e filosofica. Come continente, l’Europa si è chiesta come il male si fosse impossessato di lei e come garantire che non si ripetesse mai più. Come per ogni autopsia, la caccia era aperta per una causa di morte definitiva, un colpevole chiaro da incolpare per le atrocità della guerra mondiale. Accettare che persone apparentemente normali in circostanze straordinarie possano fare cose terribili è insoddisfacente. Significa accettare che ci sia del bene e del male in questo mondo e in tutti noi. Ecco perché l’Europa decise che il colpevole era l’ideologia stessa. L’ideologia, fondata sulla fede religiosa e su un’identità definita, portò alla formazione di stati nazionali, confini e divisioni tra luoghi, persone e credenze. Questo, secondo l’idea del dopoguerra, fu ciò che causò il conflitto. Pensatori come Hannah Arendt, Jean-Paul Sartre, Albert Einstein, Jacques Derrida e Michel Foucault descrissero il nazionalismo e lo stato-nazione come pericoli morali e politici, sostenendo l’umanesimo globale e mettendo in discussione l’idea stessa di fondare un’identità condivisa sulla fede religiosa e sul sentimento nazionale. I leader politici dell’epoca seguirono l’esempio: il cancelliere tedesco Konrad Adenauer, il parlamentare europeo Altiero Spinelli e i politici francesi Robert Schuman e Jean Monnet sostennero l’idea di sostituire il nazionalismo con un’identità paneuropea, insieme a un ethos economico e culturale comune. E così un continente devastato dalla guerra, appena uscito da un conflitto globale su confini e identità, decise di abolire confini e identità, presumendo che questa sarebbe stata la strada verso una pace duratura. Questo gettò le basi per la successiva istituzione dell’Unione Europea nel 1993, sostituendo le singole nazioni con un’identità comune, quella europea.

Gli anni successivi videro l’ascesa dello stato sociale in tutta l’Europa occidentale, con una forte componente filosofica che enfatizzava la responsabilità collettiva, la solidarietà e la giustizia sociale. Alla fine degli anni ‘60, le rivolte studentesche si diffusero in tutta Europa, fondendo anticapitalismo postcoloniale, antimperialismo, femminismo e umanesimo. Gradualmente, le giovani generazioni sostituirono le religioni del passato con l’ethos universalista. E il continente iniziò a considerarsi un modello per il resto del mondo: un’Europa senza confini, senza più nulla per cui combattere.

Sulla carta, era il piano perfetto. Ma poi accadde qualcosa: si scontrò con la realtà. Quando la religione è stata espulsa dalle nostre vite, l’umanesimo e l’universalismo sono stati offerti come merce di scambio, creando un vuoto di fede e di significato – e vuoti, come sappiamo, che desiderano ardentemente essere colmati. Questo è accaduto in tutta Europa, ma forse in nessun luogo in modo più evidente che nel mio paese natale. Secondo l’European Social Survey 2023-24, meno del cinque per cento degli svedesi partecipa alle funzioni religiose almeno una volta alla settimana, una delle percentuali più basse al mondo.

Dopo decenni di erosione ideologica e spirituale, la Svezia è ora un paese senza un Dio, un ethos nazionale o un senso di identità. Il paese in cui sono nata si rifiuta di sostenere qualsiasi cosa, e quindi cade in ogni cosa, ancora e ancora. Pensate alla crisi dei migranti. Nel 2015, la Svezia, un paese di dieci milioni di abitanti, ha accolto 163mila richiedenti asilo, provenienti principalmente da Siria, Afghanistan e Iraq. Nei successivi dieci anni, molti di questi immigrati non sono riusciti ad assimilarsi, causando  sconvolgimenti sociali ed economici. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che la Svezia non aveva un’identità nazionale. Non si può insegnare ciò che non si sa: questo è vero quando si cresce un figlio e quando si governa una nazione. A questo punto, la Svezia non è altro che una tenda aperta. Thunberg è un prodotto di questa nazione.  Questo fornisce un contesto al cambiamento ideologico di Thunberg, nell’ottobre 2023, dall’attivismo per il clima all’attivismo anti-israeliano, un cambiamento a cui si sono uniti migliaia di altri in tutto il continente. Israele rappresenta l’esatto opposto del vuoto che l’Europa ha creato. E’ uno stato-nazione orgoglioso, con confini, fede, ideologia, scopi e ideali espliciti. Israele è tutto ciò che l’Europa un tempo rifiutava. Il suo successo sarebbe la prova che il cambiamento europeo  è stato un fallimento, e lo è ancora. Ma Thunberg non si preoccupa di tutto questo. Il suo attivismo dovrebbe farmi arrabbiare, come ebrea svedese.

Ma più di ogni altra cosa, mi spezza il cuore. Thunberg non è la malattia; ne è un sintomo, un sintomo del vuoto radicale che ora vediamo nelle nostre strade,  feed dei social media e nei nostri figli. Lo so perché anch’io un tempo ero una ragazza svedese persa, desiderosa di appartenere a qualcosa più grande di me, desiderosa di un significato, di una comunità e di uno scopo. Come esseri umani, aneliamo a queste cose. Quando cresciamo in un luogo che ci dice che i valori sono il nemico, facciamo amicizia nei posti sbagliati. Fino ai miei vent’anni, tutti i miei amici facevano parte di un movimento radicale, che fosse femminista militante, ambientalista o pro-Palestina. Questo rifletteva il clima politico europeo dell’epoca. E avrei continuato così se l’attacco terroristico dell’11 settembre non mi avesse risvegliato dal conforto della noia europea e non mi avesse spinto a tornare alla fede e alla famiglia. Il problema della ribellione è che ha bisogno di qualcosa contro cui opporsi. Quando non c’è nulla contro cui ribellarsi, nessuna norma da contrastare, nessuna idea da mettere in discussione, l’energia della ribellione continua senza senso all’infinito. Invece del dibattito,  rabbia infinita, e invece dell’ideologia, cause intercambiabili. Una volta finita la guerra, Thunberg passerà a un’altra questione. Dopotutto, è solo un segnaposto per un significato, un’inutile ideologia in un mondo privo di significato”. 

(Traduzione di Giulio Meotti)

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