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Quando l'antirazzismo entra in sintonia con i Fratelli musulmani

Le associazioni antirazziste che dialogano con le istituzioni europee sono permeabili ai discorsi islamisti

Un Foglio Internazionale, le segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti


 

Se c’è una battaglia culturale che i Fratelli musulmani sembrano aver vinto “è quella che consisteva nell’imporre la questione dell’islamofobia nel cuore delle istituzioni europee”, constata sul Point Samir Amghar, sociologo esperto del movimento. “Hanno cambiato registro dopo aver capito che il discorso religioso non riusciva a passare in uno spazio secolarizzato”, spiega. Sempre secondo il sociologo, questa metamorfosi del discorso è stata accompagnata da un’esacerbazione del “discorso vittimista” e da una propensione all’esagerazione – opportunamente rafforzata dai rapporti che drammatizzano la situazione dei musulmani in Europa – che permette agli attivisti identitari dei Fratelli musulmani di affermare che sarebbero “perseguitati come lo erano gli ebrei negli anni Trenta”.

In questo sistema militante, alcune associazioni antirazziste svolgono talvolta un ruolo ambiguo. E’ il caso dell’Enar, European Network Against Racism, che federa una serie di associazioni antirazziste che godono di una certa reputazione, come le organizzazioni vicine ai Fratelli musulmani e essenzialmente preoccupate dalla questione del velo. All’interno, c’erano anche il Collectif contre l’islamophobie en France (Ccif) e la Coordination contre le racisme et l’islamophobie (Cri) prima della loro dissoluzione in Francia per decreto ministeriale. Dal 2007, le istanze europee hanno erogato 7,32 milioni di euro all’Enar, che si rivela sempre più permeabile ai temi difesi dai Fratelli musulmani e diventa la cassa di risonanza di un discorso molto ostile alla Francia. Il 19 ottobre 2020, ossia tre giorni dopo l’assassinio di Samuel Paty (professore di storia e geografia del collège du Bois d’Aulen, a Conflans-Sainte-Honorine, ndr) per mano di un terrorista islamista, l’associazione ha pubblicato un comunicato che riuniva le firme di “70 organizzazioni della società civile e universitaria” che esprimevano il loro sostegno al Collectif contre l’islamophobie en France, la cui dissoluzione era appena stata annunciata dal ministro dell’Interno Gérald Darmanin. I firmatari hanno lanciato un appello alla “solidarietà contro questa manifestazione di razzismo strutturale che prende di mira i civili”, prima di lasciarsi andare a un’apologia del Ccif – struttura che considera le espulsioni degli imam che predicano l’odio degli atti “islamofobi”. “Il Ccif porta avanti delle ricerche importanti per scoprire la realtà del razzismo antimusulmano in Francia. La sua professionalità e la sua expertise sono state riconosciute dalle istituzioni europee e internazionali”, spiega il comunicato, che menziona la sua cooperazione con le istituzioni per difendere la legittimità dell’associazione dissolta.

Il comunicato evoca tra le altre cose la legge contro il separatismo (approvata in Francia nell’agosto 2021, ndr) utilizzando la griglia di argomenti tipica dei Fratelli musulmani: “Un progetto di legge che stigmatizza e prende di mira le comunità musulmane francesi”. Il testo è ratificato da alcuni universitari implicati nel movimento decoloniale francese, così come da alcune associazioni che non hanno mai esitato a riprendere le stesse formule linguistiche – Coexister, la Coordination contre le racisme et l’islamophobie (dissolta), Étudiants musulmans de France o il Forum des organisations européennes musulmanes de jeunes et d’étudiants. Il 20 novembre, sul sito dell’Enar, viene pubblicata una nuova petizione, in sostegno questa volta a Femyso, intitolata “Caccia alle streghe islamofobe in Francia: 34 organizzazioni invitano i dirigenti europei a prendere posizione”. Il comunicato se la prende con il bersaglio preferito dei Fratelli musulmani in Europa: la Francia. Rifiutando la campagna pro-velo del Consiglio d’Europa, la Francia si sarebbe resa protagonista di “una caccia alle streghe islamofoba su larga scala prendendo di mira le comunità e le organizzazioni razzializzate in Europa”.

“Nel corso degli ultimi mesi, il governo francese ha avviato innumerevoli procedure amministrative per chiudere delle organizzazioni dirette dai musulmani (…). Nonostante l’assenza totale di prove o di procedure giudiziarie, lo ha fatto parlando di affiliazioni con i Fratelli musulmani”. Queste affiliazioni sono qualificate come “teorie del complotto” per “giustificare azioni antidemocratiche senza prove”. Fra i firmatari, ancora una volta, delle organizzazioni conosciute per la loro prossimità con la galassia dei Fratelli musulmani, come Alliance citoyenne (l’associazione che organizze i bagni in burkini a Grénoble), il Collectif contre l’islamophobie in France (diventato il Collectif contre l’islamophobie en Europe dal lato belga dopo la sua dissoluzione), Lallab (associazione femminista francese pro-velo) e Cage, un’associazione di “difesa dei diritti dei musulmani” stabilita a Londra, che si era fatta notare prendendo la difesa di “Jihadi John” (anche soprannominato “il boia di Daesh”), un inglese che appariva nei video di decapitazioni pubblicati dallo Stato islamico. (Traduzione di Mauro Zanon)

 

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